Assassini seriali. Marco Bergamo – Il Mostro Di Bolzano (8^ parte)

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Bergamo, ha iniziato ad uccidere giovanissimo, quella povera ed ignara adolescente con la quale stava semplicemente parlando di fotografia. Ed è probabilmente che proprio in quella circostanza, l’omicida, abbia scoperto il piacere di uccidere e del sangue, ammazzando solo pochi mesi dopo, un’insegnante con due volti, quella che di notte riceveva uomini a pagamento, per poi essere probabilmente, bloccato, dai suoi genitori, che, sospettando qualcosa di strano, avevano iniziato a braccarlo, sino al trascorrere di quei lunghi anni, quando, il suo istinto represso è riemerso prepotentemente alla luce, facendolo tornare nuovamente ad uccidere povere e giovanissime prostitute.

Bergamo, in ogni sua azione omicidiaria, è stato sempre lucido, probabilmente, con la sola  esclusione del primo omicidio, quello della giovanissima Marcella Casagrande, del quale sembra non abbia avuto premeditazione, mantenendo un buon andamento del livello del delitto e per questo, da considerarsi del genere definito “organizzato”. Sapeva ben maneggiare i suoi coltelli, che collezionava dall’età di 13 anni e che aveva sempre nella tasca dei suoi pantaloni e, con i quali, quasi come fosse in possesso di conoscenze anatomiche, uccideva le sue vittime, colpendole nei punti più vitali ed allo stesso tempo, spargendo tanto sangue, la cui vista, gli provocava piacere, quel piacere, che non era in grado di provare con un rapporto sessuale naturale con una donna. Sino ad arrivare al punto, di lanciare una sorta di sfida agli investigatori, lasciando insieme ad un mazzo di fiori, quel messaggio sulla tomba di  Renate Rauch.

L’unico fattore che lo differenza dagli “organizzati”, è che questi hanno spesso una vita sociale normale, intesa come quella di avere una famiglia, amici ed anche amanti, lui, aveva solo i suoi genitori, che probabilmente, hanno costituito per le sue azioni, anche un  peso ed un impedimento, ma che con buona certezza, possono aver contribuito a salvare tante altre potenziali vittime.

Salvate da quei coltelli, che oltre a maneggiare chirurgicamente, portava sempre dietro, come fossero un compagno che gli dava una sorta di protezione.

Marco Bergamo, non ha mai lasciato sulla scena del crimine le armi utilizzate, tanto che sino all’ultimo omicidio, tutti gli altri erano rimasti insoluti, salvo non riuscire a nascondere, durante la rocambolesca fuga dall’ultima uccisione, quella della Zorzi, alcuni indizi, che sono saltati subito all’occhio dei poliziotti e che poi si sono rivelati fondamentali per l’esito delle indagini, quali: il parabrezza danneggiato, la foderina del sedile della sua auto, sporca di sangue, il portafoglio della vittima che era stata appena identificata e, la modanatura della sua Seat Ibiza, rimasta in terra sul luogo ove era stato commesso il crimine. E chissà se Bergamo,  che per anni era riuscito a dribblare abilmente gli organi inquirenti, dopo l’ultimo omicidio, abbia voluto scientemente farsi catturare, lasciando ben visibili tutti quegli elementi poc’anzi descritti, mettendo fine volutamente alla sua carriera criminale? Circostanza questa, comune anche ad altri serial killer definiti del genere organizzato, come avvenuto anche nel caso di Edmund Kemper; quello che in California, uccideva giovani ragazze che frequentavano i college della zona.

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