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E’ con la sentenza della Corte d’Assise di Bolzano, del giorno 8 marzo 1994, che Marco Bergamo, venne dichiarato colpevole dei cinque omicidi di cui era imputato, con l’esclusione della premeditazione, per il caso Casagrande e condannato a quattro ergastoli e 30 anni di carcere , più tre anni di isolamento diurno.

Una successiva richiesta di essere giudicato con rito abbreviato, venne respinta dal tribunale nel 2014, in quanto non consentita all’epoca in cui i delitti furono commessi, che tuttavia, a parere della Corte di Bergamo, non ne avrebbe comunque avuto il diritto, poiché non prevista per i reati per i quali era prevista la pena dell’ergastolo, alla quale segue la conferma della Cassazione con sentenza definitiva passata in giudicato.

Bergamo tentò anche la strada della revisione del processo, cercando di ritrattare una delle confessioni rilasciate agli investigatori nel momento delle indagini, senza però ottenere alcun risultato.

Ad un intervista epistolare, condotta da un giornalista di un quotidiano locale dell’Alto Adige, Bergamo così rispose: “Io sottoscritto Bergamo Marco ho commesso solo tre omicidi e li ho confessati, gli omicidi Troger e Cipolletti li ha commessi una seconda persona potenzialmente più pericolosa di me”. 

Marco Bergamo, che dal momento del suo arresto, da 24 anni era rimasto sempre detenuto in diverse strutture per motivi di sicurezza, si trovava nel carcere di Milano Bollate, quando a seguito del sopraggiungere di un’infezione polmonare, fu trasportato d’urgenza in un ospedale cittadino, dove morirà all’età di 51 anni, trascorsi pochi giorni dal suo ricovero.

Un’ultima osservazione. In Italia, l’ergastolo è solo sulla carta e qualora non fosse morto, Marco Bergamo, aveva già superato i venti anni di reclusione, limite, per il quale, con sconti vari di pena, avrebbe potuto godere di benefici vari, come ad esempio, del regime di semilibertà, che gli avrebbe consentito di uscire di giorno per recarsi al lavoro, rientrando in cella la notte. Ma in tal caso, chi avrebbe potuto garantire che le pulsioni di Bergamo, non tornassero improvvisamente a pervadere l’uomo ed a muovere ancora una volta il suo agire criminale, tornando così ad uccidere povere donne? Una domanda, che alcuni studiosi si stavano già ponendo, non escludendo la preoccupazione per simile reale ipotesi ed il pericolo che le sue pulsioni, avrebbero potuto condurlo con probabile certezza, nuovamente ad uccidere.

Conclusa la storia, come sempre, mi avvio a formulare le mie conclusioni, nelle quali, saltano immediatamente all’occhio alcuni particolari comuni a tanti altri serial killer, come il prediligere una determinata categoria di vittime, che sono le prostitute, quello di trovare piacere, probabilmente anche sessuale, nell’uccidere spargendo e vedendo tanto sangue, senza però mai avere il coraggio di fare sesso con una donna, nei confronti delle quali, nutriva probabilmente una sorta di paura  ed odio, uccidendole colpendole sempre dalla schiena, evitando in questo modo, il confronto diretto ed il loro sguardo.

Come pure, la presenza sin dall’infanzia di alcune patologie, che facevano sentire Bergamo un disagiato, una sorta di menomato, per ultima, non per importanza naturalmente, l’asportazione di quel testicolo a causa di un tumore maligno.

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