Se ne è andato l’artista del pallone, l’anima della sua Argentina e di quella Napoli che ha sempre adorato. Pur con tutte le sue contraddizioni, è stato un eroe per tanti, soprattutto gli ultimi.

È resuscitato più volte nella sua vita spericolata. Stavolta non ce l’ha fatta e il mondo piange il più grande di tutti con un pallone fra i piedi, ma anche con qualsiasi oggetto sferico.

Diceva Michel Platini, uno che l’ha sfidato tante volte e di sicuro ha un’alta considerazione di se stesso: “Quel che io faccio con un pallone Maradona lo fa con un’arancia”. Populista, peronista, castrista, seguace di Che Guevara, anima di Buenos Aires e cuore di Napoli. Diego è stato questo e tanto altro, impossibile in poche righe inquadrare uno dei pochi miti veri, raccontato in libri, film, serie tv e rotocalchi. Mito in vita, mentre da Che Guevara a James Dean, altri sono morti giovani, diventando dopo personaggi letterari.

ESSERE DIEGO – Ha sopportato il peso di tutto questo – perché non è facile essere Diego Armando Maradona – senza aver mai paura della folla, della sua gente, che a volte lo travolgeva. Lui è stato unico in tutto. Perché ai tempi di Pelè non c’erano abbastanza immagini perché i giovani d’oggi ne abbiano una memoria approfondita. Mentre i campioni odierni, dai Messi ai Ronaldo, hanno una regia marketing per ogni clip postata, studiata a tavolino. Maradona no. Lo trovi a giocare su un campo sterrato di Acerra rischiando le gambe per aiutare un bimbo malato, o riscaldarsi a Stoccarda, prima della finale vinta di Coppa Uefa, palleggiando con un bimbo. E rimani affascinato guardando quelle magie e quella gioia, perfettamente scandita da “Live is life”. Lui la sua l’ha vissuta in maniera profonda, cadendo e rialzandosi senza mai avere vergogna di mostrarsi. Scendendo negli inferi della dipendenza, rialzandosi sempre con dignità, mai nascondendosi. In quest’ultimo, complicato, periodo della sua vita è riuscito in un altro dei suoi capolavori. Ha messo insieme idealmente tutti i suoi figli, facendo in modo che diventassero fratelli. Dalma e Gianinna, con Diego Fernando, Jana e il napoletano Diego jr. Diverse le madri, diverso il carattere, unico l’amore per un padre perdonato e amato. Perché a loro ha saputo chiedere scusa per la vita spericolata. Sarà per questa sua manifesta imperfezione, in contrasto aspro con la perfeziona divina sul campo, che la gente lo adora e lo venera, addirittura c’è chi lo prega come una divinità.

SUBLIME ARGENTINA – Ha vinto un Mondiale favoloso nel 1986, generando letteratura come nessun altro terrestre con la pelota. La simbologia di una guerra all’Inghilterra, per le Malvinas, vinta con la “Mano de Dios” e il gol del secolo. Lì l’uomo diventa eroe per l’eternità, sublimando un’Argentina che vive un momento fra i più alti della sua storia. E i Mondiali vinti potrebbero essere tre, con quella discussa finale persa nel ‘90 contro la Germania, a Roma, e poi quella estromissione nel ‘94 ad opera della Fifa: usato come figurina e poi scaricato quando si teme che la sua Argentina possa vincere.

LA SOMIGLIANZA CON NAPOLI – Nessuna città si è mai identificata tanto come Napoli con Diego, somigliandosi in tutte le contraddizioni. Famiglia e amanti. Bellezza e spreco. Amore e droga. Sullo sfondo il riscatto per gli ultimi, la lotta contro i padroni, del calcio e non solo. Il no alla Juve. Diego ha vissuto la città sino in fondo, scendendo negli inferi, nelle zone più buie. Ma regalando il periodo più solare. A volte si fermava con la macchina in una curva panoramica di Posillipo, si godeva il panorama sul Golfo e ringraziava Dio per quella fortuna. Diceva: “A Napoli ho passato sette anni, ma nel mio cuore contano il triplo per il legame che ho con quella splendida gente”. Cui ha portato due scudetti, una Coppa Uefa, una Supercoppa, una Coppa Italia e soprattutto la felicità di recarsi alla domenica a Fuorigrotta sapendo di assistere ogni volta a qualcosa di straordinario. Ha vinto anche al Boca e a Barcellona qualcosa, ma nulla che possa essere paragonato all’intensità di quanto successo a Napoli. Oggi c’è una generazione di Diego Armando, ormai ultratrentenne, che potrà tramandare quelle gesta, che vivono in ogni angolo della città.

Da un murale a un altarino. Perché a Napoli e non solo è stato anche per una generazione unità di misura. Se facevi qualcosa di straordinario nella tua vita eri “a livello Maradona”. Se la sparavi grossa subito ti rispondevano: “E chi ti credi di essere? Maradona?”. Ora che ha raggiunto gli adorati genitori Doña Dalma e Don Diego, magari non sentiremo più i benpensanti che per una vita lo hanno giudicato e condannato. Adesso di Diego resterà la favola dell’eroe che infiammò una nazione e rese felici i napoletani. Ma è tutto vero.

Gazzetta dello Sport

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