Per quanto concerne le motivazioni del primo caso, quello delle “avvelenatrici di Roma”, il loro agire, potrebbe essere ricondotto alle c.d. “vedove nere”, che hanno una similitudine con il famoso ragno, la cui femmina, una volta dopo l’accoppiamento, non è raro che uccida e divori il maschio; dapprima sposano uomini ricchi e potenti, poi annoiate da questi, li uccidono solitamente per mezzo di veleni, con lo scopo finale di appropriarsi dei loro beni e di crearsi una nuova vita.
Ma si potrebbe ricondurre anche alla definizione di serial killer dominatore ed edonistico.
Nel primo caso troviamo quello di dominare la vittima, contribuendo così al rafforzamento del proprio io interiore e dell’autostima, in compensazione e comunque per vendetta di abusi subiti nel tempo dall’omicida. Nel secondo caso, quello di trovare piacere nell’uccidere magari proprio colui che durante la vita coniugale non ha saputo condurre una corretta relazione sessuale o comunque avendo usato arroganza, prepotenza e violenza nei confronti del suo partner.
Per quanto riguarda Locusta, ritengo molto più semplice giustificare le sue motivazioni, riconducendole con buona certezza al fattore guadagno. Nel caso specifico, probabilmente non tanto al guadagno economico, quanto quello materiale, che da una semplice schiava, (e la vita per una schiava non era certo facile), l’ha resa una persona ricercata e protetta dai potenti dell’antica Roma, tanto da renderle, almeno sino al momento in cui fu giustiziata, una vita con privilegi simili a quelli di una nobildonna dell’epoca.

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