(Ultima Parte)
E’ certamente presto per trarre delle conclusioni, ma c’è sicuramente da osservare che in molte zone rurali dell’Italia, anche i lavoratori del posto, si rivolgono ad individui locali, definiti “caporali”,  al fine di ottenere un lavoro nei campi, che  a fronte di questo, del trasporto sul luogo, nonché dei pasti forniti, percepiscono dei ricavi illegali, anche se le popolazioni dei luoghi, riconoscono in questi un sistema abituale e radicato, di intermediazione per ottenere un lavoro.
In proposito, la legge presenta un orientamento prevalentemente repressivo, anziché intervenire preventivamente. Di fatto, non interviene sulle cause del fenomeno, per il quale molte aziende, pongono lo spauracchio della chiusura o del licenziamento delle maestranze, a causa degli elevati costi di produzione.
Secondo me, il problema è da ricercare negli oscuri angoli di una filiera di cui sicuramente si conosce molto poco, che lavora occultata in un sottobosco,  attribuendo e demandando dall’alto, responsabilità al più piccolo.
Per concludere, “l’uovo di Colombo” per prevenire ed arginare il fenomeno criminale del “caporalato”, potrebbe individuarsi in un sistema molto più meticoloso di controllo e di etichettatura, a tal proposito rendendo nota all’acquirente, con  estrema chiarezza, tutta la storia del prodotto dalla sua nascita, sin dentro il supermercato e per finire alla sua tavola, tornando a dare voce alla genuinità dei nostri prodotti italiani, anche mediante l’estensione del riconoscimento dei vari marchi D.O.P., D.O.C., D.O.C.G  e così via, ad altri prodotti, utilizzando ed incentivando, quelli a “chilometri zero”, direttamente dal vicino campo alla bottega. Sicuramente tutto questo non è facile, dobbiamo fare i conti con la nostra politica, ma anche e soprattutto, in qualità di Stato membro, con quella sovranazionale dell’Unione Europea, la quale non di rado, c’impone il non superamento delle quote di determinati prodotti, pena varie sanzioni. Da questo ne deriva l’obbligo della distruzione dell’esubero degli stessi prodotti, come ad esempio agrumi ed altri frutti ed ortaggi dei nostri territori, imponendoci al contempo l’importazione di altri prodotti, non di rado, di dubbia certezza per i trattamenti fitosanitari ricevuti, poiché legali in alcuni paesi, ma non nel nostro, ma anche di qualità non sempre eccellente  e che hanno percorso migliaia e migliaia di chilometri, prima di arrivare sulle nostre tavole.

 

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