(Prima Parte)

Come in ogni circostanza analoga, in questi giorni, subito dopo la triste sciagura accaduta all’Hotel Rigopiano, è iniziato il processo mediatico in quasi  ogni rete televisiva e genere di giornale.
Tutto ciò, in una sorta di sciacallaggio delle informazioni, quasi fosse una competizione alle indagini in atto, che vede in corsa tra loro quali interpreti primari, i vari conduttori dei talk show televisivi, i quali s’improvvisano provetti investigatori. Sovrapposizioni che dovrebbero essere esclusiva prerogativa della magistratura inquirente e che potrebbero, come accaduto già in passato, portare ad una sorta di distorsione delle informazioni e cosa ancor più grave, risultare di possibile intralcio al regolare corso della stessa attività d’indagine e condurre anche all’inquinamento delle prove. Seppur celato dietro apparenti commozioni, emozioni e una sorta di solidarietà, è quasi sempre palese all’occhio dell’ascoltatore o del lettore più attento, il cinismo con cui vengono trattati gli argomenti inerenti le varie sciagure e le persone coinvolte ancora sotto choc, a fronte dei target economici cui i media sono realmente finalizzati, a discapito di ogni fattore umano e di umana pietà, che prevalgono anche sulle stesse disgrazie, le quali con estrema insensibilità, più risultano sconcertanti, rilevanti e d’impatto, sia per numero di vittime che di feriti, meglio è:  l’importante, è che attraggano l’attenzione del più alto numero di spettatori e/o di lettori, acquisendo in questo modo la maggiore audience possibile ed il relativo riscontro economico.
Vero è, che il genere umano, pur commiserando tutto ciò che di negativo viene riversato dai TG che ogni giorno entrano nelle nostre case in un fiume d’immagini e parole, rimane comunque tranquillo spettatore di un film, che tale non è, ma che di contro è, vera, pura e cruda realtà, continuando ad osservare con una sorta di distacco ed una buona dose d’insensibilità, guerre, disastri e morti, rimanendo seduto davanti la tavola, proseguendo a consumare tranquillamente il proprio pasto. E’ come quasi i fatti non fossero realtà: “non è qui e comunque non è accaduto a me!” Probabilmente tutto ciò, è insito nell’indole umana, quasi come fosse una sorta di spirito di sopravvivenza o d’immunizzazione e per molti aspetti credo effettivamente lo sia e lo ricondurrei anche alla sindrome di Nimby, che seppur sviluppatasi all’estero, ma diffusa da tempo anche in Italia, può calzare perfettamente anche al distacco dello spettatore seduto innanzi un televisore, che continua tranquillamente a mangiare, anche vedendo immagini stravolgenti ed apocalittiche. L’acronimo NIMBY sta per “Not In My Back Yard”, letteralmente “Non vicino casa mia”, ed è stata la base di molte proteste, ma che nel caso di particolari eventi, come quello del Rigopiano e distanti da casa nostra magari anche solo pochi chilometri, può come detto, giustificare l’indifferenza e l’assenza, o quasi delle emozioni, che dovrebbero invece sopraggiungere intense alla visione della sconcertante realtà e crudezza dei fatti e delle immagini.
Dopo questa introduzione che porta con sé, in parte, anche una palese vena critica nei confronti di molti organi d’informazione, che a mio modesto parere dovrebbero raccontare i fatti così come effettivamente sono e si vedono, senza espletare indagini e pseudo interrogatori, peraltro proprio nel momento in cui sono già in corso quelle ufficiali, cerchiamo insieme di capire i vari aspetti della vicenda.
L’Hotel Rigopiano, è situato su di un pianoro a circa 1200 metri di quota, sul versante orientale del Massiccio del Gran Sasso, nel comune di Farindola, il quale si trova a circa 530 mt. s.l.m., con una popolazione di 1551 abitanti, in provincia di Pescara.
Il luogo, è interessato da un clima sub-appenninico, che vede inverni rigidi, con frequenti nevicate con accumuli di questa, sino a 50 cm., con escursioni rilevanti della temperatura tra il giorno e la notte, nonché classificato zona 2, quale sismicità media.
Detto questo, cerchiamo di capire insieme se il disastro, di mercoledì 18 gennaio 2017, che ha visto 29 vittime ed 11 sopravvissuti, poteva in qualche modo essere preveduto e per questo evitato.
A tal proposito, fermo restando le eventuali responsabilità penali  e civili, per cui la magistratura inquirente sta svolgendo le complesse e vaste indagini del caso, ritengo comunque che alcuni aspetti della vicenda, siano sicuramente degni di attenzione e di fondamentale importanza.
Intanto la posizione del resource, almeno dalle prime osservazioni tecniche, non sarebbe stata delle migliori, poichè costruito in fondo ad un canalone, che già nel passato, sembrerebbe sia stato soggetto al riversarsi di slavine e detriti.
Ma, in proposito, Francesco Peduto, presidente del Consiglio nazionale dei
geologi, ( fonte: http://www.repubblica.it/cronaca/2017/01/20/news/), ha dichiarato che “A quanto risulta dalla cartografia, l’area interessata dalla slavina non era stata inserita come a rischio dal Piano di assetto idrogeologico regionale. Quindi, in teoria non ci sarebbero responsabilità da parte di chi ha costruito l’albergo in quella zona”.
Alla ulteriore domanda: “Sarebbero state utili delle strutture paravalanghe?”
Il geologo risponde:
“Queste barriere certamente servono a rallentare la velocità di caduta di valanghe e slavine. Sono opere molto costose che vanno costruite dove esiste uno specifico rischio. Ma non risulta che la Regione Abruzzo abbia redatto un apposito Piano Antivalanghe, e quindi quelle strutture non erano state costruite in quanto non erano state previste”.
V’è poi da dire, che dai calcoli tecnici, la slavina che ha interessato l’hotel, sembrerebbe abbia avuto una massa pari a circa 4.000 tir a pieno carico; tanto per fare una comparazione alla “marinara”, aggiungo io, come fosse stata una nave, da circa 200.000 tonnellate. In proposito, per capire meglio le proporzioni di cosa stiamo parlando, basti pensare che le navi COSTA FASCINOSA e COSTA FAVOLOSA, che sono attualmente le due ammiraglie della flotta Costa, veri e propri titani dei mari, hanno una stazza lorda singola pari a 114.500 tonnellate, quindi, ogni natante, è pari a poco più della metà della massa della valanga che si è abbattuta sul resource.
Tutto ciò la dice lunga sulle enormi dimensioni e l’eccezionalità di ciò che ha causato la tragedia e con estrema semplicità, può far comprendere a chiunque, i tremendi attimi di ciò che è accaduto al Rigopiano.
Alla luce di quanto sopra, quali ipotesi di responsabilità?
A parte la legittimità o meno del luogo ove è stato edificato l’hotel, la verifica dei titoli autorizzatori rilasciati per la sua costruzione, l’accertamento di eventuali vincoli e quant’altro, anche alla luce delle dichiarazioni del Presidente Nazionale dell’Ordine dei Geologi, sopra riportate, i punti da analizzare, ritengo siano molteplici.
Intanto si parla di una strada provinciale di collegamento tra la struttura ricettiva e l’abitato sottostante, di un bollettino Meteomont, che sarebbe stato emesso già da tre o quattro giorni prima del verificarsi dell’evento disastroso e mediante il quale, sembrerebbe sia stato comunicato ai soggetti istituzionali, un imminente, elevato rischio valanghe, ma anche di comunicazioni in merito che non sarebbero mai arrivate agli stessi organi, o almeno, ad alcuni di essi.
L’evento è accaduto in una zona abbastanza impervia, soggetta come detto in premessa, ad un particolare clima, posta nel mezzo dell’Appennino centrale ed in un piccolissimo comune della Regione Abruzzo, peraltro interessata ormai da tempo, da una consistente e vasta attività sismica, che sembra non avere termine e che come noto, ha distrutto una molteplicità di comuni e territori di più regioni, costringendo ad un’emergenza continua e quasi senza fine, le popolazioni residenti, la Protezione Civile, le altre strutture istituzionali e le associazioni di volontariato.
Quindi, alla luce di quanto sopra, che dire?
Fermo restando quanto asserito dal Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi, il quale come detto afferma che l’area interessata dalla slavina non sarebbe stata inserita come a rischio dal Piano di assetto idrogeologico regionale, cosa che credo non sfuggirà certamente alla magistratura inquirente, il secondo problema lo si può individuare proprio nelle province ed in questo caso, più specificatamente, in quella di Pescara. Il 3 aprile 2014 è veniva definitivamente approvata la riforma delle province di Graziano Delrio. Le province, prima della riforma, considerate gli enti di mezzo, erano una sorta di  tramite tra i comuni e la regioni; la riforma ha creato le città metropolitane il cui territorio coincide con quello della vecchia provincia: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria e Roma Capitale. La legge Delrio sulle province e la nuova architettura relativa agli enti territoriali in essa prevista, che prevede regioni, province, comuni, unioni di comuni e città metropolitane, rende sicuramente molto più difficile e confuso di prima, il panorama per il cittadino utente e le stesse imprese, quindi comprendere l’ingarbugliato meccanismo e capire comunque a chi rivolgersi, per qualsivoglia problema.

 

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