A Viterbo in Piazza del Plebiscito, l’antico “Campo Cavalluccolo”, sulla facciata della Chiesa di Sant’Angelo
in Spatha possiamo ammirare un monumento sepolcrale, dedicato a un’eroina viterbese, la cui vicenda narrata dal
Niccolò della Tuccia, il Bussi e il Piccarolo, parte dalla storia e diventa subito mito fino a mescolarsi con il folclore
popolare. Galiana, Galliana o Galeana era una vergine fanciulla, appartenente alla nobiltà, nonché considerata la più bella di Viterbo. Volle l’antica tradizione che ogni anno i viterbesi dovevano sacrificare una vergine alla bianca scrofa
che gli aveva indicato dove fondare la loro città, ma quando la sorte scelse Galiana, questa, incatenata lungo il fiume
Paradosso, fu salvata da un leone che uccise la feroce belva. Così da quel giorno la tradizione vuole che proprio il leone divenne il simbolo di Viterbo a cui si aggiunse la palma dopo la distruzione della rivale città di Ferento nel 1172. Ma la storia di Galiana continua, infatti il caso volle che la sua bellezza fu notata dal prefetto di Roma, che la tradizione identifica con Giovanni Di Vico, signore di molte città tra cui Civitavecchia, Blera, Corneto, Tolfa e la stessa Viterbo.
Costui la chiese in sposa, ma quando il nobile fu rifiutato dalla ragazza allora, per vendicarsi, accampò il suo esercito
alla “Grotta dei Maltagli” e assediò la città che non voleva cedergli la fanciulla, alla fine il Di Vico chiese di vedere
un’ultima volta Galiana con la promessa di deporre le armi, ma quando la ragazza si affacciò sulle mura di “Santo
Chimento” fu colpita a morte da una freccia di un soldato per volere del nobile. I viterbesi infuriati uscirono dalla
città e la rabbia era così tanta che sbaragliarono l’esercito del prefetto e secondo alcuni racconti, lo uccisero.
La bella Galiana fu così, per amor di popolo, posta in un antico sarcofago di epoca romana e la sua tomba posta sulla
facciata della sopracitata Chiesa di Sant’Angelo, dove tutt’ora resta, recante un’epigrafe con la data della sua morte
che fu nel 1138 (1158 secondo altre fonti ). Il sarcofago attualmente esposto è una copia, non perfettamente identica,
eseguita nel 1998, mentre dal 1988 l’originale è conservato presso il Museo Civico di Viterbo, ritrae una scena della
caccia al cinghiale ucciso da un leone e trova riscontro con il mito di Meleagro e il cinghiale Caledonio, tale tipologia
di sarcofago è tipico del III sec. d.C. e trova similitudini con quelli conservati a Roma presso i Musei Capitolini, Vaticani
e Doria Pamphilj.
(Glauco Stracci-SSC)

 

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