Salute, Malformazioni e malattie congenite (1^ parte)

Fattori di rischio, quadro clinico e trattamento delle alterazioni dello scheletro.

 

Le malformazioni congenite sono alterazioni dello scheletro determinate da un’inibizione o deviazione dello sviluppo degli abbozzi embrionali a causa di fattori intrinseci (genetici, meccanici o metabolici) o estrinseci all’embrione (teratogeni). Tra i fattori conosciuti che comportino l’insorgenza della malformazione congenita:

  • Infezione materna nei primi mesi di gravidanza (virus della rosolia o toxoplasmosi)
  • Radiazioni ionizzanti
  • Farmaci teratogeni

Tra le malformazioni congenite più conosciute e diffuse vi è la displasia e lussazione congenita dell’anca. Tale patologia comporta un complesso di dismorfismi o alterazioni a carico della cavità cotiloidea, dell’estremità cefalica del femore e dell’apparato capsulo-legamentoso che può portare ad una perdita parziale o totale dei rapporti articolari coxo-femorali.

Epidemiologia

La displasia congenita dell’anca occupa il primo posto fra le deformità congenite. La diffusione di tale patologia risente delle influenze etniche, avendo una maggior incidenza in alcune tribù indiane dell’America del Nord e presso i Lapponi. In Italia si stima un’incidenza del’1-2% e varia da regione a regione.

Eziopatogenesi

Ancora oggi non è conosciuto in maniera certa la causa scatenante la formazione del dismorfismo. Si ipotizza un’origine multifattoriale, in cui tanto fattori genetici quanto ambientali giocano un ruolo di primaria importanza. Sono state proposte varie teorie nel corso del tempo, tra cui due le più accreditate:

  • Teoria della displasia acetabolare: Tale teoria prevede che la cartilagine acetabolare, molto più soffice e plastica del normale, venga continuamente sollecitata dalle pressioni della testa femorale.
  • Teoria della lassità capsulo-legamentosa: Questa teoria prevede invece l’ipotesi di una lassità delle strutture di contenimento passive dell’articolazione dell’anca.

Secondo la letteratura, i fattori di rischio per l’instaurarsi della displasia sono:

  • Sesso femminile
  • Familiarità e provenienza da zone ad elevata incidenza
  • Gestosi materna o ipertensione in gravidanza

Quadro clinico

Nei primi giorni il test clinico più importante ai fini diagnostici è la manovra di Ortolani, che consiste nel sublussare la testa femorale, per poi ridurla facendole seguire il percorso inverso. Tale manovra si esegue ponendo il neonato su un piano rigido con le anche e le ginocchia flesse. L’esaminatore pone le mani sulle cosce del neonato e applica, con il dito medio, una leggera pressione all’altezza del grande trocantere mentre il pollice appoggia sul piccolo trocantere. Successivamente tramite un movimento di abduzione ed extra-rotazione si ottiene la riduzione della testa del femore, che viene avvertita come una sensazione palpatoria di click.

Tale manovra è di sicura affidabilità nei primi giorni di vita del neonato, divenendo più difficoltosa e meno affidabile già dopo poche settimane, per la maggiore difficoltà a ridurre la testa femorale.

Altra manovra eseguita ai fini diagnostici, complementare al test di Ortolani, è la manovra di Barlow, che prevede una spinta assiale sul femore e un adduzione delle anche, praticando una leggera pressione con il pollice a livello del piccolo trocantere. Il test risulta positivo se si apprezza uno scatto in uscita dovuta alla sublussazione della testa femorale.