Lo Stato ha soffiato il grosso della liquidità, l’azienda ha fatto il resto.
È una crisi dal sapore molto amaro quella di Royal Bus. Al momento si sa che 60 famiglie civitavecchiesi rischiano seriamente
il reddito, che sul porto si sono nuovamente addensate nubi e sospetti, non già per correttezza degli atti quanto per la capacità dello scalo di riversare ricchezza sul territorio. Però la vicenda del vettore turistico incaricato del navettamento per conto di Port mobility, insegna anche altro. Che lo Stato si metta prima dei lavoratori nel chiedere soldi a un’azienda debitrice, è già di per sé una stortura che si fa molta difficoltà a comprendere. Anche perché c’è l’alto rischio che lo stesso Stato vada a chiedere i soldi per pagamenti saltati alle stesse famiglie che erano in coda con lui. In seconda istanza, occorre anche sottolineare cos’altro sia accaduto ai pagamenti arretrati che erano stati chiesti a gran voce, anzi a gran clacson, dagli autisti sotto la sede dell’Authority: se gran parte sono stati incamerati subito dall’Agenzia delle Entrate tramite, in soldoni, pignoramento del conto bancario, il rimanente è stato utilizzato, a quanto pare, dall’azienda per altri debiti pregressi. Ciò per essere in regola con il Durc e poter quindi partecipare ad altre gare pubbliche. Il che ci può stare, sempre e a patto che non si vada a penalizzare il reddito di famiglie che attendono arretrati. La classe politica ha giustamente posto l’accento sulla vicenda, ma una seria riflessione in tal senso è quello che è mancato per avere un quadro della situazione fedele.

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