Sgombriamo subito il campo da possibili fraintendimenti:  non siamo contrari a priori all’itticoltura che al contrario riteniamo rappresenti il futuro della pesca per il progressivo esaurirsi della fauna marina causato da uno sfruttamento eccessivo, né siamo tra coloro che sostengono la necessità di realizzare pure un qualcosa ma  non nel mio cortile.  Un tale modo di pensare non ci appartiene.

Ma oggettivamente, posizionare a mare sottocosta, nella zona a nord di Civitavecchia, delle grosse gabbie galleggianti per praticarvi l’itticoltura ci sembra davvero un’idea sconsiderata  stante l’esiguità della linea costiera del nostro comune peraltro già gravata da una serie di servitù che la riducono sensibilmente. Infatti, a ridosso de La Frasca, peraltro di recente elevata al rango di monumento naturale, una superficie di mare enorme, di ben 150 ettari, sarebbe così impegnata dalla acquacoltura.

A questo punto, conseguono due ordini di problemi. Uno generato dalla diluizione dei nutrienti e delle feci prodotti dall’impianto, che andrebbe ad aggiungersi allo sversamento a mare dell’attuale impianto a terra, problema quest’ultimo ancora in fase di risoluzione. L’altro rappresentato dall’impedimento alla pesca e alla navigazione che ne verrebbe ai piccoli diportisti, per lo più abilitati a muovere entro le tre miglia, giacché la presenza della detta struttura li costringerebbe ad operare ad ogni uscita un lungo tragitto di aggiramento.

Qualora, insomma, il progetto andasse in porto, si arriverebbe all’assurdo che la  popolazione di una località marina verrebbe ancor più pesantemente estromessa dalla fruizione del proprio mare, asservita di fatto al funzionamento di strutture che teoricamente dovrebbero essere al servizio della comunità stessa.

In definitiva, si operi un cambiamento importante del modello di produzione,  praticando l’itticoltura  in gabbie galleggianti ma collocate in alto mare, e funzionanti con modalità compatibili con la tutela del territorio. Perché conseguire il profitto a discapito del consenso non produce vantaggi durevoli.

Il Coordinamento del POLO CIVICO  

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