A cura di Nicola Toma
Alcuni capi di corredo: schakos è il cappello di feltro basso a larga tesa per proteggere il capo dagli ardori del sole e riparare il collo dalla pioggia, le piume di gallo cedrone avevano funzione mimetica. le piume per gli Ufficiali erano di struzzo color verde in un primo momento; in seguito anche questi ultimi adottarono quello della
truppa. Si porta “a sghimbescio” o “sulle ventitrè” in quanto La Marmora, avendo vestito con l’uniforme da lui ideata, il primo bersagliere, il Sergente furiere Giuseppe Vajra di Mondovì, da presentare al Re Carlo Alberto, lanciò il cappello a Vajra il quale anziché prenderlo al volo con le mani e calzarlo, per dimostrare la sua destrezza, lo volle prendere direttamente con la testa; senonchè andò a sghimbescio. La Marmora gli disse che così andava bene in quanto conferiva al bersagliere un’aria più spavalda. E così ancora oggi e per sempre i bersaglieri porteranno il cappello piumato “sulle ventitrè. Esso è espressione di una tradizione senza macchia, l’emblema per eccellenza del Corpo, un simbolo secondo solo al Tricolore. Il valore di tale affermazione fu dimostrato dal Tenente Colonnello Negrotti, Comandante del 23° Battaglione bersaglieri caduto sul Merzli nel 1915 (1^ Guerra Mondiale). Colpito a morte pose il suo cappello piumato sulla punta della sciabola, lo alzò bene in alto e lo lanciò al di là del reticolato nemico gridando” bersaglieri, quella è la vostra Bandiera! Andate a prenderla!”.
Cordone di canapa di color verde. Aveva lo scopo di sostenere la fiaschetta contenente la polvere da sparo. Un aneddoto a proposito del cordone. Gli Austriaci definivano i bersaglieri “banditi degni della forca” e promettevano che, qualora li avessero fatti prigionieri, li avrebbero impiccati col loro stesso cordone. I bersaglieri rispondevano che avrebbero agevolato loro il compito passandoci sopra del sapone (per far scorrere meglio il nodo scorsoio). Bavero di color cremisi. A quel tempo non erano ancora istituite le stellette quale simbolo distintivo della posizione di militare. Abito, giubba, cappotto di colore turchino perché più mimetico del bianco e del rosso usato dalla fanteria dell’epoca. Fino al 1848 i bersaglieri portarono i pantaloni così come descritti dalla “Proposizione” di La Marmora: “Pantaloni grandi, ma non di troppo, fatti in modo da aprirsi in mezzo alle gambe per non perdere tempo nelle occorrenze”. Naturalmente l’apertura dei pantaloni era pudicamente nascosta dalla lunga giacca (tunica) che giungeva a metà gamba.
Spalline imbottite filettate di cremisi. Bottoni i metallo giallo con l’impronta di un corno da caccia. I guanti neri furono adottati nel 1839 con Decreto Regio del Re Carlo Alberto ed ancora oggi costituiscono parte integrante del corredo dei bersaglieri.
La fanteria usava i guanti bianchi. Anche sui guanti neri nacquero delle dicerie messe in giro da denigratori per invidia i quali asserivano che i bersaglieri portavano i guanti neri perché avevano perso una bandiera nel 1849. I bersaglieri non ebbero mai una bandiera sino al 1920 quando ai Reggimenti fu dato il “Labaro”. La bandiera tricolore fu assegnata ai Reggimenti soltanto nel 1938.
Berrettino di lana di colore rosso. Era il copricapo da fatica e, durante la stagione fredda, veniva calzato sotto il cappello piumato. Fez cremisi fu adottato dai bersaglieri durante la campagna di Crimea (1855), in sostituzione del berrettino di lana. Ancora oggi costituisce parte integrante del corredo dei bersaglieri. E’ un dono fatto dagli Zuavi francesi (erano truppe sceltissime originarie dell’Africa del nord), che alleati con i Piemontesi combattevano in Crimea appoggiando i Turchi contro la Russia che voleva impossessarsi del territorio. Proprio in uno di questi combattimenti i bersaglieri non solo salvarono la ritirata degli Zuavi sotto la pressione di soverchianti forze nemiche, ma con un violento contrattacco misero in fuga il nemico rioccupando le posizioni prima tenute dagli Zuavi. E’ come dire “siete stati più bravi di noi”.
Sciabola da Ufficiale è assegnata nel 1850 ed ha la caratteristica di avere l’elsa dorata con il pomo a forma di testa di leone. Nel 1856, dopo la spedizione in Crimea, venne disposto l’uso della lama ricurva a guisa turca. La dragona, che serve per assicurare la sciabola al polso, non viene mai portata dagli Ufficiali e Sottufficiali dei bersaglieri. I pendagli della sciabola non si attaccano al cinturone, ma al primo anello del fodero. Così come non si porta la dragona con la sciabola, gli Ufficiali ed i Sottufficiali non portano mai il cinturino reggi pistola che passa attorno al collo.
Marcia celere e corsa. I bersaglieri nei trasferimenti adottano il “passo celere” con una cadenza di 140 passi al minuto e una lunghezza di 86 centimetri. Durante i trasferimenti è d’obbligo cantare anche se non si è accompagnati dalla fanfara. Per quanto riguarda la corsa che ha la cadenza di 180 passi al minuto e lunghezza di 77 centimetri si può dire che essa è l’espressione più schietta della vigoria e dell’entusiasmo. Il bersagliere ogni giorno si tiene allenato all’agilità e alla resistenza con la “tradizionale corsa reggimentale”. Un rito insopprimibile che, al termine della giornata, vede il Reggimento fermarsi per un’ora e a cui tutti, dal Comandante al magazziniere devono partecipare. Certo ci vuole costanza, ma con la fanfara in testa, si corre più leggeri, si sente meno la fatica ed il percorso sembra più corto. Anche da questa tradizione oserei dire che nasce quell’amalgama che c’è nel reparto di bersaglieri senza distinzione di grado. Stando a contatto di gomito, sentire il respiro affannoso di chi ti sta vicino, vedere il sudore che scende lungo le guance dell’Ufficiale, del Sottufficiale del bersagliere che ti sta accanto, suscita quel senso di affiatamento che è spontaneo e non si può dimenticare per tutta la vita. Si soffre tutti insieme: guai a chi molla! La corsa deve essere una liberazione da qualcosa che ti sta dentro ma che non riesci a definire. E’ proprio così! Provare per credere! La corsa è sempre la stessa ma ogni volta è come se fosse la prima volta perché suscita sempre nuove emozioni.
Hip, hip urrah! Era il grido di guerra dei soldati inglesi. Il generale inglese Reglan, che aveva visto combattere i bersaglieri nella Campagna di Crimea, entusiasta e stupefatto per il valore e l’ardimento dimostrati nei combattimenti, lo offrì in segno di ricompensa al valore collettivo. E’ tutt’ora tradizione gridare “Urrah!” al comando di “rompete le righe” oppure “baionetta”. Un triplice “Urrah!” è il grido inneggiante ad un Reparto, ad un Comandante o ad un ospite illustre.