La Rocca di Tulfa Veteris. A cura di Glauco Stracci-SSC

Una tradizione secolare la ritiene dei Frangipane.

 

La menzione più antica di Tolfa la troviamo in due autori del XVI-XVII secolo, Cipriano Manente e Muzio Polidori, riguardante le diatribe territoriali dell’ XI-XII secolo, mentre la prima documentata menzione di una Tulfa Veteris è in un atto di sottomissione a Corneto del 1201 riportato nella Margarita Cornetana. Dal XIII secolo il feudo risulta appartenere a più domini (proprietari), tra cui nel 1299 spiccano i nobili Guastapane in vassallaggio verso gli Anguillara di Bracciano. Dopo alterne vicende  il feudo di Tolfa è acquistato definitivamente nel 1448 da Ludovico e Pietro, figli del nobilium virorum Tamcreditij e Lagia Farnese, anche se oggi ci sono dissensi, essi vengono ritenuti del ramo romano dei Frangipane, tale affermazione comunque già compare in manoscritti della metà del XVI secolo (Contarino, Panvinio), quindi anche se un giorno si dovesse dimostrare il contrario, sciocco sarebbe interrompere una tradizione che dura da quasi mezzo millennio. Ma veniamo alla descrizione urbanistica, la rocca fu posta sopra il picco dell’omonimo monte (m 553 s.l.m.), in posizione strategica, a guardia di tutta la vallata circostante. I nuovi domini Ludovico e Pietro, restaurarono tutta la Tolfa, fornendola di nuove mura difensive, tale necessità, forse, era dovuta all’episodio ricordato dal Manente nel 1074, quando “fu spiantato la Tolfa per essere stata contraria alla Chiesa Romana”. La cittadella  si ritrova così divisa in tre parti, fortilitium (rocca), arx e il castrum e, in quel tempo, ne dette una bella descrizione Gaspare da Verona. La scoperta dell’allume di Giovanni di Castro, nell’ anno 1461, costrinse gli ultimi signori di Tulfa Veteris a vendere il feudo al papato, nel 1469, trasferendosi poi nel Regno di Napoli. La Camera Apostolica, concesso il nuovo appalto allo scopritore e dopo ad Agostino Chigi, non si curò mai del fortilizio, tanto che il castellano Segardi,  nel 1502, trasferì tutti i cannoni a Porto Ercole e Talamone, mentre da un sonetto del 1532 di Annibal Caro, sappiamo che ormai il castello era “ un pezzo di sfasciume d’una rocca”, infine la vera demolizione della rocca, con la cinta muraria, avvenne nel 1799 da parte dei napoleonici del generale Merlin che la presero a cannonate, per sedare la rivolta dei tolfetani, fedeli al papato. Oggi la Rocca con le sue ammorsature angolari e la torre a base conica, tipologia denominata “tours a’ canons”, rappresenta l’unico esempio territoriale di quella fase detta di Transizione, a cavallo tra XV e XVI secolo, che terminerà con la cosiddetta Fortificazione alla Moderna.