Come abbiamo visto nell’articolo precedente, trovare l’equilibrio non è impresa facile, visti tutti i condizionamenti sociali, culturali, religiosi e morali cui siamo sottoposti. Tanto più è difficile mantenerlo in un mondo frenetico, veloce e stressante quale è il nostro. Così accade anche in amore.
Quante volte abbiamo sentito dire o abbiamo detto: “tu sei mia” o “ti appartengo” e quante volte abbiamo assistito a litigate tra coppie che si maltrattavano per delle iniziative prese in autonomia riguardo il lavoro, le amicizie, le vacanze o lo spendere i propri soldi, ecc.
Quando si ama spesso ci si trova, più o meno automaticamente, ad appartenere all’altro, a dover rendere conto di tutto, a rinunciare a, a privarsi di, a sopportare ecc.
Questo perché è difficile trovare l’equilibrio ed facile perderlo quando si è sotto pressione, sotto stress o si è vulnerabili perché coinvolti in prima persona.
Ma se riflettiamo un po’ sulle dinamiche della relazione possiamo risalire all’origine di tutte le storie dove l’amore non voleva dire: “tu sei mia proprietà e io sono tua proprietà”, ma voleva dire: “tu mi piaci così come sei e desidero fortemente vederti”. Se il partner dice: “devo partire per lavoro tre giorni” o “mi sto comprando una moto nuova” o “parto per una vacanza con gli amici” la risposta è: “mi mancherai …, ti aspetto …, ci vediamo quando torni …”, “ok … fantastico!…” ecc.
Il senso di possesso, di appartenenza e di proprietà compaiono quando la fase di innamoramento, che esprime la ricerca dell’altro, la sua accettazione,  il desiderio, il piacere e l’entusiasmo lascia il posto alla coppia, alla relazione strutturata, al cosiddetto fidanzamento. Se poi i due si sposano la cosa diventa ancora più accentuata e palese.
Perché quando i due decidono di istituzionalizzare la loro relazione scatta la proprietà dell’altro al punto da dare per scontato che è giusto maltrattarlo, punirlo o, in certi casi, anche aggredirlo?
Forse perché in noi agiscono dei modelli, degli schemi, delle rappresentazioni mentali che possediamo sin da quando siamo piccoli e che abbiamo acquisito con l’esperienza nella famiglia e nella vita in generale. La cultura influisce molto nel rappresentare modelli di felicità, di comportamento, di giustizia, di pensiero, ecc.
Quando le persone si “mettono insieme” o si  sposano scattano in loro questi meccanismi che le portano a non riconoscere più il partner come una persona, un individuo, ma come una proprietà da gestire, amministrare, usare e manipolare “per il bene della famiglia”, “per proteggere la relazione”, “per costruire il futuro insieme”, ecc.
È qui che la cultura e i modelli religiosi si insinuano e forniscono il supporto razionale a tali schemi. Vengono chiamati in causa il senso di responsabilità, l’egoismo, il giudizio dell’altro in generale secondo morale! Ed ecco che due innamorati che si mancano e si desiderano si trasformano in nemici, persecutori, stalker e vittime. L’equilibrio è una meta elevata da raggiungere nella vita. Se guardiamo da questa prospettiva evoluta siamo sempre persone libere e individui responsabili delle nostre scelte in qualsiasi momento. Amarsi vuol dire anche rispettare le scelte dell’altro e le sue iniziative. Noi possiamo non essere d’accordo e soffrirci per questo, possiamo anche decidere di interrompere la relazione se non ci va più bene e non ci rende felici, ma non possiamo arrogarci il diritto di proprietà della vita di un’alta persona o punirla perché non è come noi vorremmo che fosse.

www.alessandrospampinato.com

 

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