Aveva avuto dubbi da sempre, Donald. Fin da piccolo, quando la famiglia si trasferì in Australia aveva tentennato. I soldi, soprattutto nel sud Italia, scarseggiavano, come il lavoro. Papà Arturo, colto contadino con la vena esterofila, aveva chiamato il figlio con un nome straniero. Aveva studiato, Arturo: nato in Molise ma residente in Calabria, a Vibo Pizzo, si era laureato in ingegneria a Roma nel 1972. Aveva vissuto un mondo che lo aveva frastornato. Poi, vi si era adattato. Infine, era tornato alle origini, a lavorare la terra con la sapiente mano e l’insofferenza di chi sapeva che poteva dare di più. Fu così che a ventotto anni, con una moglie devota e il piccolo Donald di quasi dieci anni, Arturo disse: «Basta. Emigriamo. Andiamo in Australia, dove verrò pagato per quello che ho studiato.»
Il piccolo Donald non era d’accordo: si sentiva forzato. Stava scoprendo il mondo, facendolo suo: le piccole, nuove abitudini, le gioie, il calore della numerosa famiglia calabrese.
Donald era un peperino di tutto rispetto. Un giorno, poche settimane dopo la decisione del padre, entrò in casa mentre tutti lo aspettavano per pranzo e buttò lì una semplice domanda: «Chi siete voi per dirmi cosa fare?»
Aveva osato. Donald era andato contro la patria potestà, sfidando papà Arturo con uno sguardo degno di un guerriero. Arturo aveva sorriso, si era alzato e lentamente si era avvicinato verso Donald, immobile.
Il padre allungò lentamente la mano.
Il figlio indietreggiò, impaurito.
«Vieni qui, figliolo» esortò con voce calda Arturo. Donald aveva temuto il peggio.
«Se vuoi rimanere in Italia, ci sono i tuoi nonni, la tua famiglia. A te la scelta.»
Arturo era da sempre stato assertore dei delicati equilibri su cui la libertà di scegliere regna sovrana. Come poteva impedire al sangue del suo sangue di fare l’esperienza desiderata?
«Quando vorrai, ci raggiungerai. Ti aspetteremo a braccia aperte.»
Elisa non era d’accordo: conservatrice, mai propositiva, aveva sposato Arturo giovanissima perché in lui vedeva una luce diversa. Elisa pensava che quell’uomo poteva cambiare lo stato delle cose, migliorare la sua vita. Per questo, anche se con caratteri completamente diversi, aveva assecondato la visione di colui che ora la stava per portare in Australia. Anche se sofferente, Elisa avrebbe acconsentito anche a questo, per amore del marito. Erano passati vent’anni da quel giorno.
Il mondo era cambiato. Donald non aveva più raggiunto la famiglia. Sentiva i genitori ogni tanto, al telefono, e li vedeva una volta all’anno, nel periodo natalizio. Arturo si era sistemato, diventato un professionista ricercato a Perth ed Elisa era diventata la sua segretaria. Insieme avevano concepito altri due figli, un maschio e una femmina.
Donald era rimasto, affezionato a quella che considerava la sua casa, anche senza genitori. Dopo il diploma aveva iniziato a coltivare la terra, con le sue mani, diventate sapienti quanto il suo arguto intelletto. Si era ritagliato il suo piccolo mercato fornendo, con i prodotti della sua terra, diversi supermarket e alimentari locali, ingrandendo sempre più il giro delle consegne.

Nel 1992 aveva ventidue dipendenti e un cane, Art, a cui non faceva mancare niente. Quella era la “sua” famiglia.
C’era una sorta di amore e odio in quello che faceva. Amava tutto ciò che aveva costruito, da zero, là dove il padre non aveva visto futuro. Odiava il fatto che era stato quasi abbandonato al suo destino, pur consapevole che i genitori avevano semplicemente assecondato il suo pensiero.
“Le incongruenze degli esseri umani”, pensava spesso, guardando il suo braccio destro, dove il tatuaggio campeggiava indelebile.
Una mattina Art iniziò ad abbaiare furiosamente. Aveva diluviato la notte prima e la terra scopriva la parte appuntita di quello che sembrava un forziere.
Con cautela e da solo, Donald lo tirò fuori e lo aprì. Art osservava scodinzolando. C’era un biglietto sopra un altro piccolo forziere. Lo aprì e lesse.
“Non forzare il tuo destino: se senti che questa è la tua vita, non andare oltre questo. Le agonie della famiglia hanno avuto sempre un significato. Non lottare per vivere significa non acquisire i valori di cui ognuno deve assaporare per apprezzare. Figlio mio, Arturo, questo forziere ti darà la forza di continuare e andare avanti quando non ci sarò più, ma lo dovrai scoprire da solo, lavorando la terra, come ho fatto io per anni prima di partire per la guerra. Se stai bene, non forzare il tuo destino: non forzare il forziere. Aprilo solo in caso di emergenza. Sinceramente mi auguro che non lo aprirai mai: vorrà dire che hai imparato a districarti nelle peripezie della vita, senza aiuti esterni. Fai di questo forziere il simbolo della tua forza. Se, come credo, hai acquisito saggezza, ti basterà il mio biglietto per capire cosa ti ho voluto dire. Ti ho voluto bene, figlio mio.
Giovanni.”
Donald sorrise. Nonno Giovanni, di cui conservava sfocati ricordi, aveva lasciato qualcosa di importante per il figlio Arturo, supponendo qualcosa che non si era mai avverato: lavorare duro, coltivare la terra, crearsi indipendenza e autonomia con quelle manovalanze.
“Le incongruenze degli esseri umani” continuava a ripeterlo in testa mentre osservava il suo braccio destro, ancora una volta. Era stato tentato da aprire il forziere, ma Donald amava ciò che faceva e si era stabilizzato economicamente.
Perché forzare il forziere? Estrasse il secondo scrigno, trascinandolo con sé, pesantissimo, fino all’ingresso del campo coltivato, ove vi era un grande basamento di legno per poggiare cassette con frutta e ortaggi. Donald salì in cima col pesante forziere, lasciandolo in bella vista. Sorrideva, sudato, Donald.
Lui, che era rimasto. Lui, che si era stabilizzato.
Lui, che aveva continuato ciò che il nonno si aspettava facesse suo padre.
Lui, che aveva trovato la sua via plasmando la sua vita come gli era sempre piaciuto. Incise qualcosa sul legno, in modo che tutti i suoi dipendenti potessero vederlo ogni giorno, prima di entrare nei campi.
“Forza solo ciò che non senti tuo.
Se senti che il tuo destino è qui, la tua ricchezza è qui.
E non avrai bisogno di scoprire nuovi forzieri.”

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