(corriere.it) – Civitavecchia ha l’opportunità di lavorare su due obiettivi: diventare sempre più porto di imbarco/sbarco piuttosto che di transito e lavorare sull’idea di ridisegnarsi per i turisti che arrivano con negozi, ristoranti e attrazioni

C’è un mondo in crescita, innovativo e rilevante, che produce ricchezza, ma non è (ancora) nella consapevolezza di Roma. È il mondo delle crociere e, di conseguenza, del porto di Civitavecchia. Perché la consapevolezza è bassa? Perché pochi sanno che, nonostante la sua non grande notorietà mondiale, Civitavecchia è fra i primi dieci al mondo per i passaggi crocieristici (2,4 milioni all’anno) e primo, a pari merito, con Barcellona (2,5 milioni) in Europa.

Anzi, Civitavecchia supera il porto catalano per i transiti, ma viene superato in fatto di imbarchi/sbarchi. Questa distinzione è fondamentale e vedremo perché. Insomma la notizia c’è e forse in pochi se l’aspettavano. Il mercato crocieristico è globale, che più globale non si può, e trova i suoi due epicentri nei Caraibi e nel Mediterraneo: nel primo caso vale 75 miliardi di dollari, nel secondo 44 e nel resto del mondo 118. Altri dati: ogni 24 crocieristi si crea un posto di lavoro; ogni passeggero spende mediamente 750 dollari nei luoghi che visita (oltre il costo della crociera stessa) e il 63% di quanti visitano un luogo ci tornano poi indipendentemente dalla crociera.

È importante sottolineare che nel business delle crociere tra Stati Uniti ed Europa c’è una differenza fondamentale: mentre la spesa dei crocieristi in America ammonta a 6,3 miliardi di dollari, il fatturato delle aziende che costruiscono le navi si ferma a 37 milioni. In Europa la spesa crocieristica è di poco inferiore (5,9 miliardi), ma il fatturato delle aziende costruttrici di navi (dove il ruolo italiano è rilevantissimo) arriva addirittura a superare i 12 miliardi. Insomma, le crociere fanno bene al turismo, e fanno bene all’industria. In parallelo al crescente successo delle crociere, assistiamo a un loro grande cambiamento, sia sul lato della domanda che dell’offerta.

I crocieristi non sono più un popolo immobile, come gli stereotipi talvolta ci suggeriscono; perché c’è un crescente interesse dei più giovani; perché sta crescendo molto la richiesta di crociere lunghe, anche di sei mesi, perché il mondo è complicato e vivere in una «città-isola», dove tutto è piacevole e perfetto, è un’attrazione troppo grande per essere rifiutata; perché accanto alla domanda di sightseening (vedere luoghi famosi) si sta sviluppando una domanda di esplorazione, di luoghi incontaminati e preservati. Dal lato dell’offerta, le navi si vanno anch’esse trasformando con il must del turismo responsabile, anzitutto sul piano energetico, con navi che consumano meno, usano il gas naturale liquido, meno inquinante degli altri carburanti, e trasformano i rifiuti; sul piano dell’offerta di escursioni, quando provano a creare piccoli gruppi, per non inondare di autobus le città e diversificare l’offerta, quando riducono o annullano l’impatto sulle aree marine protette.

Civitavecchia ha l’opportunità di lavorare su due obiettivi: diventare sempre più porto di imbarco/sbarco piuttosto che di transito (è evidente il beneficio della città per la minore pressione delle escursioni veloci). Per far questo c’è assoluto bisogno di collegare porto e aeroporto: la connessione diretta e veloce tra queste due infrastrutture è l’arma vincente su questo mercato. Lavorare sull’idea di fun port, cioè un porto che sia già disegnato per le crociere, perciò con negozi, ristoranti, attrazioni dentro e intorno. Si tratta di nodi strutturali non semplici, ma quello delle crociere è uno dei mercati oggi più promettenti: Roma è un’attrazione formidabile, ma occorre lavorare sul delivery, cioè sulla capacità di costruire intorno a quest’ attrazione un’economia, una logistica e un pensiero adeguati. Una grande opportunità, allo stesso tempo, da sviluppare e da rendere sostenibile. Due qualità di cui abbiamo sempre bisogno, dappertutto.

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