Ci troviamo nell’Italia degli anni ‘80 del secolo scorso, quando un camionista di nome Giancarlo Giudice, definito poi “ Il mostro di Torino”, percorreva in lungo ed in largo, a bordo del suo autocarro, le strade del Piemonte, rendendosi responsabile di ben nove omicidi.

I suoi colleghi di lavoro, non conoscendo le motivazioni della sua resistenza, lo definivano uno stacanovista, in quanto alla guida del suo mezzo, egli macinava chilometri, su chilometri, senza mai stancarsi, ma senza che questi sapessero, che la sua forza derivava solamente dall’uso spropositato di droghe eccitanti e stimolanti, quali cocaina ed LSD, le quali lo rendevano insensibile alla stanchezza, consentendogli quindi di guidare per ore ed ore, praticamente giorno e notte.

Ma, di chi stiamo parlando, chi è Giancarlo Giudice?

Nasce a Torino l’11 marzo del 1952, trovandosi da subito a vivere un’infanzia molto difficile e tormentata. Il padre disabile, è un reduce dalla campagna di Russia, con problemi di alcolismo e portatore  di un carattere rozzo e scostante, mentre la mamma, con la quale era molto legato, si ammala di cuore quando lui aveva appena otto anni. Giancarlo, nonostante la giovanissima età, provvede ad assistere la madre, sinchè non fu rinchiuso nel collegio “Don Orione” di Alessandria, dove, solo a funerali avvenuti, verrà a conoscenza della morte della mamma.

A tredici anni, fortemente scosso dalla perdita del genitore, tenta il suicidio ed a quattordici, torna a casa, mentre nel frattempo il padre si risposa con la nuova compagna, trasferendosi in Calabria ed abbandonando nuovamente il figlio a sé stesso, non prima però, che abbia avuto inizio l’ossessione di Giancarlo Giudice. E’ lei, la sua matrigna, la prima donna che cerca di violentare e l’oggetto di quelli che saranno l’incubo e l’assillo della sua futura vita, mentre il padre muore affetto da cirrosi epatica, lasciando completamente solo il figlio, che rimasto a Torino, si arrangia come meglio  può.

Lo psichiatra Paolo De Pasquali, nel libro Serial Killer in Italia, traccia il profilo di Giancarlo Giudice, definendolo nel seguente modo: “Conduce un’ esistenza squallida, da precario: manovale, barista, camionista. Colleziona armi bianche e riviste porno. Vive da solo, senza amicizie maschili o femminili. Frequenta esclusivamente prostitute. Beve molto, spesso si ubriaca, a volte fa uso di hashish, acidi e cocaina.”

Intanto non è esente da episodi delinquenziali, che lo vedono autore di almeno due vicende di sequestro di persona e concupiscenza violenta, commessa a carico di prostitute, risultando anche disertore, autore di furti e detentore abusivo di armi varie.

A seguito di una denuncia, si aprono per lui le porte del carcere, che però non dura molto, solo sei mesi circa, poiché risultato affetto da “nevrosi di carattere”, pur avendo già ucciso due donne, riconquista la libertà; fatti per i quali gli inquirenti, in quel frangente, ne erano ancora completamente all’oscuro.

In pratica, la sua carriera di serial killer, aveva avuto già inizio. Assunto da una ditta di trasporti di Brandizzo e materializzando così il suo sogno di lavorare come camionista, Giudice, torna ad uccidere.

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