Family Mass Murder. Il caso Mario Calderone (5^ parte)

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Intanto, il comune, come era giusto che fosse, si fa carico dei funerali delle tre ragazze, che saranno officiati presso la Cattedrale di Civitavecchia, dal Vescovo, Mons. Girolamo Grillo, alla presenza di migliaia di persone, dei parenti, dei compagni di scuola e degli amici delle vittime, che hanno accompagnato straziati, con un lungo applauso, quelle tre piccole bare bianche.

Nel processo, Mario Calderone, tenta la strada della mancanza di incapacità d’intendere e di volere, al momento del compimento dei fatti. A tal proposito, si accende il solito dibattito contrastante, tra accusa e difesa, ma secondo i periti dell’accusa, Calderone, al momento della strage, aveva integra la capacità di intendere e scemata, quella di volere e di conseguenza, gli viene riconosciuta la seminfermità mentale e, per questo condannato in primo grado a 19 anni e sei mesi di carcere. Condanna, che in appello, viene confermata, nonostante l’omicida tenti di giustificarsi, asserendo “Non mi ricordo, non riesco a capire”….”Mi sono svegliato, avevo paura, sentivo dei rumori. Ho preso il coltello, poi non ricordo. Alzai la coperta e vidi del sangue”.

In Italia si sa, il nostro sistema carcerario, è proiettato verso la riabilitazione del reo e la sua reintroduzione nella società e pertanto, anche in questo caso, il padre orco,  dopo essere stato sottoposto ad un intervento al cuore ed aver scontato gli ultimi anni di carcere a Regina Coeli, beneficia dello sconto di pena per indulto e buona condotta, venendo affidato ad una struttura specializzata e poi ad un istituto religioso del reatino, dove si spengono definitivamente i riflettori e si perdono le tracce del criminale, sino alla sua morte, avvenuta nel 2019, all’età di 69 anni. Il cadavere  viene subito dopo cremato, chiudendo definitivamente, una delle vicende più drammatiche ed oscure, che ha vissuto la nostra città, di cui la letteratura, ne ha parlato molto poco, forse anche stranamente, a differenza di altri casi analoghi.

Mi avvio alla conclusione, cercando di esaminare brevemente l’agire dell’omicida. Per quanto mi riguarda, credo sia stato molto fortunato a vivere in Italia, ove anche il nostro sistema giudiziario, è molto garantista ed il vivace dibattito che si è aperto in questo caso, come in altri simili tra le perizie delle parti, viene orientato dai giudici, quasi sempre a favore, di chi ha commesso il fatto.

Non è semplice accertare il possesso o meno della capacità d’intendere e di volere al momento del compimento dei fatti, necessaria a stabilire l’imputabilità di un soggetto. Il nostro cervello è molto complesso e gli scienziati, non sempre emettono perizie che concordano tra di loro, questo lo osserviamo anche in questo lungo periodo di pandemia, dove virologi, epidemiologi e così via, esprimono pareri e verdetti, non di rado, molto contrastanti fra di loro.

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