Montù Beccaria, 18 giugno 1967. Giuseppe Scabini, un agricoltore del luogo, si incontra in un bar con alcuni amici e il fratello Alberto. Una volta congedatosi dalla compagnia, tornando verso casa, comincia ad accusare dolori al torace e difficoltà respiratorie. L’uomo riesce a raggiungere il proprio domicilio, ma le sue condizioni si aggravano velocemente e perde conoscenza sotto gli occhi della moglie Linda e della figlia Ivana. Il medico intervenuto tenta un’inutile manovra di rianimazione. Giuseppe Scabini è ormai morto, probabilmente a causa di un infarto. Sembra essere un episodio isolato finché, dopo pochi giorni, la piccola Milena Scovenna, figlia di una coppia in visita per porgere le condoglianze, accusa un improvviso malore, perde i sensi e muore. Ma le morti improvvise non finiscono qui. Il mese dopo, dopo aver mangiato un piccolo panettone, anche la madre di Giuseppe Scabini muore stroncata da un malore fulminante. Cominciano a nascere dubbi sulla vera natura dei decessi. In molti ritengono che le morti non siano da attribuire a cause naturali. In paese, inizia persino a girare la voce che la casa sia maledetta. Tutte le illazioni cadono alla morte della diciannovenne Giuseppina Vercesi, amica di Ivana Scabini. Come per gli altri decessi, la giovane, appena uscita dalla “casa maledetta”, accusa dolori al torace, perde conoscenza e cessa di vivere. Insieme a lei si sente male anche l’amica Mariuccia Perduca, ma viene salvata dall’intervento dei medici. Non ci sono più dubbi, le morti sono collegate. Per questo motivo viene disposta l’autopsia sulla salma di Giuseppina Vercesi. I risultati sono agghiaccianti: la ragazza è morta per avvelenamento da parathion, un potente anticrittogamico che può essere letale sia per inalazione che per ingestione e che può provocare una grave intossicazione anche semplicemente per contatto cutaneo. Vengono esumati anche gli altri corpi, tutti morti avvelenati. Ma chi è che uccide a Montù Beccaria? Le indagini puntano su Alberto Scabini, fratello minore della prima vittima. L’uomo, oberato dai debiti, secondo l’accusa avrebbe ucciso per ereditare l’intero patrimonio familiare. L’arma del delitto sembra essere uscita da un romanzo giallo: infatti, secondo le ricostruzioni, Alberto avrebbe ucciso il fratello Giuseppe offrendogli dei cioccolatini avvelenati. Poi avrebbe lasciato altri cioccolatini nella casa del fratello defunto, sperando di realizzare la morte per veneficio anche della cognata e della nipote, ma una fatalità ha voluto che i cioccolatini fossero consumati da altre persone. Il “Borgia di Montù”, come fu chiamato dalla stampa Alberto Scabini, viene arrestato e poi assolto al processo di primo grado per insufficienza di prove.  Ma in questo affascinante, seppur triste, caso di cronaca nera italiana i colpi di scena non sono ancora finiti. La mattina del 27 febbraio 1970, infatti, Alberto Scabini viene ritrovato cadavere nella sua camera da letto. L’autopsia disposta accerta che anche lui è morto per avvelenamento da parathion. Le indagini si chiudono con un’archiviazione per suicidio lasciando per sempre un dubbio: Alberto Scabini si è avvelenato da solo o l’assassino è ancora in libertà?

image_pdfScarica articolo (pdf)image_printStampa articolo
Quanto ti piace?

Social Media Auto Publish Powered By : XYZScripts.com