Assassini seriali. Vincenzo Verzeni, il Vampiro della Bergamasca (5^ parte)

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Come detto, a seguito delle perizie psichiche, riconosciuto sano di mente, la Corte D’Assise di Bergamo, lo ritenne colpevole di duplice omicidio, riuscendo a scampare per sua  fortuna alla pena di morte per mezzo della fucilazione, grazie al voto a suo favore di un giurato ed internato nel manicomio criminale della Pia Casa di Senavra di Milano e condannato all’ergastolo ed ai lavori forzati a vita, fornendo con piacere ulteriori dettagli a Cesare Lombroso, che continuava intanto ad incontrarlo ed a studiare il suo caso.

Nell’aprile del 1874, viene trasferito nel manicomio giudiziario di Milano, ove subisce dei trattamenti estremi e violenti, quali isolamento, oscuramento totale, venendo sottoposto a forti getti di acqua gelida, che scendono dall’alto, contrastati da altrettanti getti di acqua bollente, seguiti inoltre da scariche elettriche, pratiche queste, che ai giorni nostri, sarebbero considerate, vere e proprie torture.

Fu probabilmente anche a seguito di questo genere di trattamento, che il criminale si chiuse in se stesso, venendo rinvenuto alcuni mesi dopo la sua interdizione dagli inservienti, impiccato ad un’inferriata ed apparentemente privo di vita, mentre lo stesso Lombroso, avrebbe effettuato l’esame autoptico sul suo corpo.

Ma, a questo punto, la storia si fa misteriosa, perchè solo dopo poco tempo, così come riportato da altre fonti, sembra che si sia trattato solo di un tentato suicidio e di fatto salvato dagli stessi addetti alla struttura che lo avevano rinvenuto in quello stato.

E, secondo questa versione dei fatti, Verzeni che continuava a non mostrare segni di miglioramento, sarebbe stato dimesso dal manicomio, per essere detenuto nella struttura carceraria di Civitavecchia ove avrebbe dovuto scontare l’ergastolo. Intanto, intervennero dei mutamenti importanti al sistema penale e detentivo italiano, che convertirono tra l’altro la pena dell’ergastolo, in trenta anni di reclusione.

Sempre secondo questa versione dei fatti, il Verzeni, alla sua scarcerazione, sarebbe tornato a Bottanuco, tra il terrore delle genti che nel frattempo, lo avevano anche soprannominato, “Vincenzo lo squartatore”, ove comunque, sembra, che a seguito di evento naturale, ebbe termine la sua vita, restituendo così serenità e tranquillità, a quelle popolazioni.

Ora, come di consueto, dopo la breve premessa e raccontata la storia, mi avvio alle conclusioni finali ed alla profilazione del criminale.

Le vicende di Verzeni, si svolgono in un particolare momento storico. Oltre al fervore della seconda rivoluzione industriale, era anche l’alba della moderna criminologia, ci troviamo nell’epoca positivista del mondo scientifico, in cui l’antropologia criminale, poi molto dibattuta ed anche smentita, era prevalente ed alcuni crimini, commessi senza apparenti ragioni, come quelli del caso in esame, erano ricondotti alla sola follia e per questo considerati immotivati, a differenza di quelli che invece erano commessi da moventi apparenti e, per meglio intenderci, diciamo consistenti, per non dire palpabili, come ad esempio, interessi economici, odio, vendetta, gelosia e simili.

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