Assassini seriali. Il Mostro di Udine (3^ parte)

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L’indomani del ritrovamento del cadavere di Marina, i carabinieri tornano sui luoghi del delitto, per una più attenta perlustrazione, che però non fornisce alcun frutto, se non quello di udire, poco più in la, una voce inquietante di un uomo, che lamentandosi disperatamente, invocava Dio, chiedendo perdono. Dopo averlo identificato, un sessantenne apparso in stato confusionale, i carabinieri lo accompagnano a casa, ove l’uomo che apre la porta, riferendosi alla persona accompagnata dai militari, nell’asserire di essere suo fratello, afferma che lo stesso è spesso vittima di allucinazioni.

I militari chiedono di entrare in casa al fine di effettuare alcune verifiche, ma l’uomo, che era un avvocato, rifiuta loro l’accesso in quanto gli uomini dell’Arma, non erano in possesso di uno specifico mandato.

Successivi accertamenti, riveleranno che l’uomo che implorava Dio, nei pressi di una chiesa, nelle immediate vicinanze del luogo in cui era stato rinvenuto il giorno prima, il cadavere della maestra con la gola recisa, apparteneva al ceto sociale medio cittadino, che era un medico specializzato proprio in ginecologia, ma che tuttavia, non aveva mai esercitato la sua professione, né tanto meno, avuto a che fare con un corpo femminile. L’uomo, continuava a vivere con la sua famiglia, la madre ed il fratello, senza essersene mai distaccato, quasi come un recluso, portandosi dietro i suoi problemi psichici. Prima di una sorta di vero e proprio ritiro in casa, per due anni, aveva svolto tutt’altro mestiere da quello per cui aveva studiato, lavorando in un ristorante come cameriere, dove una sua collega, sembra lo avesse sorpreso, in un angolo del locale, nell’azione di simulare un parto cesareo, utilizzando per questo, una tovaglia ed un coltello. A questo punto, tutti gli indizi sembrano condurre all’uomo, sembra ci sia la quadra: un medico mancato, un ginecologo che forse anche per questo, odia patologicamente le donne.

Un altro episodio, fa propendere ancora di più per la sua incriminazione. Durante l’intercettazione di una telefonata, suo fratello, un sessantenne, si sfoga con un’amica dicendo: “Ho dovuto tenere mio fratello chiuso in camera per impedirgli di uscire”. La donna non comprendendo, ne chiede il motivo, e l’uomo replica: “Pioveva”. Si, sembra che il fratello, avesse impedito a quell’uomo di uscire di casa, in occasione di un temporale, poiché in simili circostanze, l’uomo ne rimarrebbe fortemente turbato.

Questa conversazione, sembrava quasi una conferma, se non avesse trattenuto l’uomo in casa, proprio durante la pioggia, quasi come fosse un richiamo mistico, lo stesso avrebbe potuto commettere degli omicidi, visto che in tutte le circostanze i delitti erano stati commessi in lunghe notti piovose e nebbiose?

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