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L’intervista prosegue e l’inviato chiede a Gianfranco, se il grave incidente in moto del 1976, possa essere stato la causa delle sue azioni criminali. Anche in questo caso, la riposta di Stevanin, dimostra una certa scaltrezza:
“Forse qualche dubbio è venuto anche ad altri e non soltanto a me, visto che ci sono volute quattro perizie prima di stabilire che io fossi capace di intendere e volere. Grandi professionisti che non avevano motivi per difendermi hanno detto che i traumi riportati in quell’incidente avevano compromesso la mia mente. Loro lo sanno dopo avermi studiato scientificamente, io lo so perché l’ho vissuto: all’epoca di quello Stevanin lì c’erano le conseguenze di un trauma che ancora influivano sul mio comportamento. Però vede: io le dico queste cose ma mi scontro con il fatto che lei, come tutti, dovrebbe credermi sulla parola e questo non posso pretenderlo. Io so che è così ma non posso chiedere ad altri di avere la mia stessa convinzione”.
Stevanin aggiunge che non saprebbe come chiedere scusa ai parenti delle vittime, non parlando le loro lingue, ma anche perché dopo tanti anni, ricordare certi fatti, li farebbe soffrire ancora di più, non aspettandosi per questo da essi alcun perdono. “Quando uccidi una persona nessuno ti può togliere la responsabilità di quel che hai fatto. Ho pensato al modo che più si avvicina a un rimedio”.
“Sarebbe dire: hai causato un dolore? Ora devi ripagare il tuo debito causando il contrario in opere di bene. Devo scontare la pena in carcere? Va bene. Ma il mio carcere non riporta indietro le persone. Se invece divento promotore di qualche sorriso, di un po’ di felicità per qualcuno, allora un po’ mi riscatto, anche se non pareggerò mai il debito con le famiglie di chi non c’è più. Per loro sarò sempre solo un assassino. Ma dopo 25 anni di cella non sarebbe un male se potessi aiutare, che so, una coppia di anziani a fare la spesa o un disabile a spostarsi. Cose del genere”.
Stevanin, cercando di dimostrare di essere una persona redenta, normale ed attiva, nel concludere la sua intervista, afferma di essersi diplomato ragioniere in carcere, di seguire alcuni corsi di fisica e di leggere libri attinenti alla materia, nonché di seguire altro genere di corsi. Aggiunge che ascolta musica rock degli anni ‘80 e ‘90 e soprattutto di scrivere lettere lunghissime e di essere in attesa di quel giorno in cui qualcuno gli dirà:” Stevanin, può uscire”.
Bene, l’intervista ritengo sia stata molto interessante, anche se per ovvie ragioni, non l’ho riportata integralmente, seppur tuttavia, riprendendo i punti che ho ritenuto più salienti. Documento utile a giungere alle conclusioni che mio avvio a formulare con la profilazione criminale di Gianfranco Stevanin, tentando di capire se effettivamente lo Stevanin di oggi, si possa considerare davvero cambiato ed effettivamente diverso dal criminale di allora e per questo affidabile e sicuro.
Un serial killer appartenente al genere organizzato, in quanto pianificava con buona attenzione, premeditazione ed altrettanta tranquillità i dettagli del suo agire. Prostitute abbordate lungo le strade, alle quali, anche a causa della sua bella presenza e dei modi apparentemente gentili e rassicuranti, si faceva passare per una persona influente, riuscendo così a convincerle con facilità a salire sulla sua auto per poi condurle al casolare degli orrori. Spacciandosi per un appassionato di fotografia, Stevanin, ingannava le donne con la promessa di soli pochi scatti, che inevitabilmente si trasformavano nella richiesta di foto hot sempre più spinte ed in situazioni di sesso estremo.

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