iOMICIDIO STRADALE E BULLISMO:
AD ANGUILLARA IL CONVEGNO ORGANIZZATO DALL’ASSOCIAZIONE “L’AGONE NUOVO”.
FRA I RELATORI, LA VICEPRESIDE DELL’ISTITUTO ALBERGHIERO LUCIA LOLLI
Omicidio stradale e bullismo, ma anche lotta al disagio giovanile e alla dispersione scolastica: questi i temi dell’incontro pubblico che si è svolto sabato 2 Aprile presso i locali dell’Ex-Consorzio Agrario di Anguillara e che ha visto fra i relatori anche la Prof.ssa Lucia Lolli, Vicepreside dell’Istituto Alberghero di Ladispoli. Organizzato dall’Associazione Culturale “L’Agone Nuovo”, dal Comune di Anguillara e dal Lions Club del Distretto 108, il convegno moderato dal Direttore del giornale “L’Agone” Luca Cesari, ha preso il via dopo il saluto del sindaco di Anguillara Francesco Pizzorno. Nell’introdurre i lavori, Giovanni Furgiuele, Presidente dell’Associazione “L’Agone Nuovo” ha sottolineato la rilevanza degli argomenti oggetto del dibattito: “Lavoriamo da 23 anni su tutti i temi che riguardano la società civile e i suoi rapporti con il mondo politico. Il seminario di oggi è dedicato all’approvazione della Legge sull’omicidio stradale e della Legge regionale riguardante il contrasto al fenomeno del bullismo. L’Italia aveva bisogno di questi provvedimenti. Tuttavia siamo consapevoli del cammino che c’è ancora da compiere. Solo attivando tutte le possibili sinergie fra i soggetti della realtà locale e riunendo i saperi, le competenze e le conoscenze presenti sul territorio, potremo offrire ai cittadini una valida soluzione”.
Ad aprire il dibattito, la discussione sul D.D.L. 859 (Omicidio stradale), definitivamente approvato dal Senato, con voto di fiducia, il 2 Marzo 2016. 149 sì, 3 voti contrari e 15 astenuti: questo l’esito della votazione. Inasprite le pene per chi provoca morti o feriti sulle strade. Per l’omicidio stradale è previsto il raddoppio dei termini di prescrizione e l’arresto obbligatorio nei casi con aggravante (droga e alcool ‘pesante’).
“L’omicidio stradale è legge e per me,  – ha dichiarato l’Onorevole Emiliano Minnucci, membro della Commissione Trasporti della Camera, che ha seguito dalla nascita il contrastato percorso di approvazione del provvedimento (cinque letture tra Camera e Senato) – così come per tutti i familiari delle vittime e dei cittadini impegnati nelle Associazioni che si sono battute su tale questione, è una grande soddisfazione. E’ stato un successo importante anche per tutti quelli che hanno lavorato per giungere a questo obiettivo che possiamo tranquillamente dire, senza enfasi, può valere un’intera legislatura”. “Questa norma – ha aggiunto Minnucci – permette, infatti, due precise risposte: da un lato, rende giustizia alle vittime dei pirati della strada, a tutti coloro cioè che hanno subito un danno fisico o nei loro affetti più cari; dall’altro, sviluppa un’azione concreta di deterrenza, poiché questa normativa tanto attesa si pone anche un compito pedagogico ed educativo”. Ad esprimere il suo apprezzamento per l’approvazione della Legge, è intervenuto quindi l’Avv. Domenico Musicco, Presidente dell’AVISL (Associazione Vittime Incidenti Stradali).
Pasquale Maria Amantea ha spiegato, poi, gli aspetti tecnico-normativi del provvedimento, mentre il Dott. Giuseppe Barletta, Dirigente Area Sert dell’ Asl Rm 4, ha approfondito in modo particolare il tema del tasso alcolemico e della sua misurazione.
Ha preso quindi la parola Federico Ascani, Consigliere di Roma Città Metropolitana, il quale ha sottolineato l’importanza di un lavoro di prevenzione che deve coinvolgere tutti i soggetti istituzionali e le “centrali educative”, mentre Giuseppe Quintavalle, Direttore generale dell’Asl Rm 4, ha ribadito l’importanza delle campagne di sensibilizzazione e del ruolo della scuola.
La seconda parte del convegno ha riguardato il tema del bullismo. L’Avv. Silvia Gelso ha spiegato il profilo giuridico e gli aspetti normativi del fenomeno, soffermandosi sull’elemento dell’imputabilità del minore e sulle possibili misure sanzionatorie. La Dott.ssa Carola Celozzi, Dirigente del Centro Salute Mentale Asl Rm 4, ha invece affrontato l’argomento del disagio psicologico del bullo, approfondendone le caratteristiche ricorrenti.
Tema centrale e occasione del dibattito è stata la recente approvazione da parte del Consiglio Regionale del Lazio (con 24 voti a favore e dopo la presentazione di oltre 200 emendamenti e subemendamenti) della Proposta di Legge 202/2016, di cui il Consigliere Regionale Massimiliano Valeriani è stato promotore e primo firmatario. “Disciplina degli interventi regionali in materia di prevenzione e contrasto al fenomeno del bullismo”: questo l’intento dei legislatori che hanno deciso di sostenere iniziative, attività e progetti di Educazione alla Legalità, prevedendo uno stanziamento di circa 750mila euro nel prossimo triennio. A richiederlo sono i dati emergenti dalle più recenti ricerche sul fenomeno, in ambito scolastico. Prima la definizione, poi i numeri: per “bullismo”, hanno ricordato i relatori, si intende un comportamento offensivo e vessatorio nei confronti di un coetaneo, caratterizzato da intenzionalità, persistenza nel tempo e asimmetria nella relazione. Negli Istituti Superiori il 33% degli studenti del campione esaminato ne è vittima, mentre il 45% ne è spettatore. Recenti studi dell’Osservatorio Regionale sul bullismo hanno rilevato, inoltre, che nel Lazio il fenomeno ha raggiunto una diffusione pari al 41,5% degli alunni delle Scuole Elementari e Medie. Il dato più alto tra le cinque province è proprio quello della Capitale con il 45,7%: quasi uno studente su due.  “Il fenomeno – recita la Legge 202 della Regione Lazio – andrebbe affrontato in un’ottica sistemica a livello cognitivo, emotivo, affettivo e socio-relazionale. Si deve intervenire attraverso una programmazione complessa e strutturata a lungo termine, che preveda necessariamente la partecipazione attiva della famiglia, della comunità scolastica e delle Istituzioni del territorio, in una prospettiva di corresponsabilità, coprogettazione, condivisione dello sfondo valoriale al quale riferirsi per la realizzazione delle iniziative, nella conoscenza e nel rispetto delle caratteristiche socio-culturali di ciascun ambito territoriale nel quale si interviene”. Ovviamente nel discorso rientra anche il “bullismo digitale”: lo dicono, di nuovo, i dati statistici. Basti pensare alla recente Ricerca condotta sul “cyberbullismo” dal Censis e dalla Polizia Postale. Per il 77% dei Presidi delle Scuole italiane Medie e Superiori Internet è l’ambiente in cui avvengono più frequentemente fenomeni di bullismo. E nel 51% dei casi accaduti, i Dirigenti Scolastici si sono dovuti rivolgere alle Forze dell’Ordine. L’aggravante, in questo caso, è da ricondurre alla mancata percezione del rischio da parte dei genitori. Per un Preside su due, infatti, la difficoltà maggiore è proprio quella di renderli consapevoli della gravità del fenomeno, che viene facilmente derubricato a semplice “scherzo fra ragazzi”. Essendo gli adulti perlopiù esclusi dalla vita on-line degli adolescenti, gli episodi di cyberbullismo risultano, inoltre, molto più difficilmente individuabili rispetto a quello di bullismo tradizionale.
“Siamo felici, oggi, di spiegare ai cittadini questa Legge – ha dichiarato il Consigliere Regionale Valeriani –. Si tratta di un Progetto–pilota della Regione Lazio, il primo in Italia. Ora è necessario applicarla, renderla efficace ed operante, in altri termini farla vivere sul territorio. Ne va del futuro delle giovani generazioni”.
“Il fenomeno del bullismo presenta una forte complessità, – ha sottolineato la Prof.ssa Lucia Lolli, Vicepreside dell’Istituto Alberghiero di Ladispoli – sia a livello di definizione che di dinamica reale degli eventi, poiché non include azioni negative occasionali fatte per scherzo o per un impeto di rabbia, ma viene usato come una specie di script, cioè come una sequenza, tutto sommato abbastanza stereotipata, nella quale gli attori svolgono ruoli stabiliti (bullo, vittima, osservatore, sostenitore del bullo, difensore della vittima). In età adolescenziale – ha ricordato la Vicepreside dell’Alberghiero – il bullismo si lega in modo rilevante con sintomi di malessere psicologico, con comportamenti devianti e antisociali e con uso di alcol e di sostanze psicoattive. Quali i fattori? Ciò che sembra influire sull’ampiezza del fenomeno non è tanto la classe sociale di appartenenza, quanto l’ambiente, il quartiere e la zona della città in cui i ragazzi vivono: ossia, la cultura di riferimento. Gli stili educativi rappresentano un fattore cruciale per lo sviluppo o meno delle condotte inadeguate. Quali le strategie possibili da parte della scuola? L’Istituzione scolastica ha un ruolo fondamentale nel favorire la crescita civile e culturale degli studenti e una piena valorizzazione della persona. La garanzia del successo formativo non può prescindere dall’inclusività come obiettivo categorico per tutti gli alunni che presentino una qualsiasi difficoltà legata alla condizione socio-economica, culturale o linguistica. In questa ottica è chiaro che ciascun elemento del dialogo educativo deve diventare strategico, dunque risorsa, nel processo di sviluppo dell’alunno: l’apprendimento non passa più solo dalla lezione frontale e tanto meno si esaurisce nei contesti formali e istituzionali, ma si arricchisce, forse in misura addirittura maggiore, in contesti informali o non formali che rappresentano un continuum con l’azione istituzionale della scuola. La personalizzazione è la carta vincente per realizzare il diritto soggettivo allo studio di ogni persona in età evolutiva.
Obbedendo al principio della sussidiarietà, l’iniziativa della Regione Lazio – ha proseguito la Prof.ssa Lolli – è senza dubbio notevole e denota la giusta attenzione ad un fenomeno che la scuola fatica a gestire e che, tra le conseguenze, annovera la dispersione scolastica. Non bisogna dimenticare, infatti, che l’Italia è all’ultimo posto nella UE per percentuale di spesa pubblica destinata all’educazione (7,9% nel 2014 a fronte del 10,2% medio dell’Unione Europea, secondo gli ultimi dati Eurostat, quindi 0,1% in meno rispetto al 2013). Individuati i ragazzi più problematici, i nuovi fondi stanziati dalla Regione potrebbero portare, con un’adeguata disponibilità di mezzi, a progettare percorsi di motivazione: il bullo si nutre della noia che talvolta i percorsi didattici ingenerano, della scarsa attenzione che un docente, in “classi-pollaio”, può riservargli o, semplicemente, della frustrazione, figlia di una scelta errata o poco consapevole. Gli Istituti Professionali, purtroppo, sono stati privati della loro stessa forza, i laboratori, che consentono un approccio operativo tale da permettere una maggiore responsabilizzazione e un’operatività che si fa meno frustrante e demotivante per chi, come il bullo, ha un profilo particolarmente insofferente  (ci auguriamo, quindi, che dopo il parere favorevole della Cassazione, i quadri- orario degli Istituti Professionali siano rivisti e si ritorni allo status quo ante le Linee-guida del 2010). Lavorare in classi di 30/32 studenti, con almeno due alunni diversamente abili e un numero cospicuo di DSA non agevola certo l’auspicata didattica personalizzata e neppure la formazione di un clima di collaborazione e di costruzione di relazioni sane e monitorate costantemente dall’insegnante. Eppure – ha proseguito la Prof.ssa Lolli – nonostante le tante difficoltà, le scuole agiscono quotidianamente, promuovendo la cultura della legalità e accompagnando i propri studenti nella formazione di una personalità sana e consapevole, verso una cittadinanza attiva e responsabile. Lo scorso anno abbiamo ospitato la dottoressa Rita Borsellino, periodicamente organizziamo incontri con l’Arma dei Carabinieri, non meno rilevanti gli incontri con la Polizia Postale per riflettere sui rischi e sulle conseguenze del cyberbullismo. La nostra indefessa opera di sensibilizzazione tende proprio a creare quella auspicata cultura della legalità che dovrebbe ridurre al minimo episodi di bullismo all’interno e fuori dall’edificio scolastico. Un lavoro importante viene fatto anche sulle relazioni che i docenti tendono a costruire con i ragazzi, basate sul rispetto e su quella necessaria empatia che mira a diventare elemento accogliente e riferimento costante nella vita del minore. Proprio dal 2015/16, in obbedienza al dettato della Legge 107, siamo inoltre in grado di affiancare ai tradizionali strumenti di intervento (come lo “Sportello Didattico” e i Corsi di recupero da sempre attivi nel nostro Istituto), un Piano di miglioramento molto più articolato, che si avvale di un corpo docente aggiuntivo: quello dell’organico di potenziamento relativo alla Fase “C” del Piano Straordinario di assunzioni predisposto dal Governo per il 2015/2016. Un ulteriore elemento che ritengo poi essenziale all’interno della scuola è, senza dubbio, lo Sportello di ascolto che nel nostro Istituto è affidato ad un professionista, il Dottor Jacopo Paris. Ma, soprattutto, è necessario lavorare in senso preventivo. Esiste una ‘prevenzione primaria’, che consiste nell’insegnare modalità di interazione positiva con i compagni e nell’informare sulle conseguenze disadattive dell’essere bullo, con l’obiettivo fondamentale di ridurre il rischio di incidenza di questo fenomeno. La ‘prevenzione secondaria’ si configura, invece, come risposta ad alcuni incidenti di bullismo. Può prevedere approcci di tipo punitivo (sospensione, sanzioni disciplinari) o di tipo riparatorio e di mediazione tra le parti. L’approccio ‘terziario’ consiste, infine, nel trattamento e nella riabilitazione dei soggetti coinvolti; comporta, quindi, un intervento di monitoraggio dei fenomeni, strutture di counselling, ed interventi terapeutici per le vittime, eventuali denunce e interventi sanzionatori per coloro che hanno adottato comportamenti offensivi o vessatori.
Al di là delle tassonomie e dei nominalismi, però, ciò che conta è lavorare – ha concluso la Vicepreside dell’Istituto Alberghiero – in un’ottica sempre più orientata alla flessibilità curricolare. Se non vogliamo che l’inclusività resti soltanto una bella parola, dobbiamo favorire un generalizzato rinnovamento di mentalità, coinvolgendo gli studenti e le loro famiglie in iniziative legate alla nello stesso tempo alla scuola e alla vita del territorio. In poche parole c’è bisogno di una vera e propria “rivoluzione culturale”.
Una rivoluzione che all’Istituto Alberghiero di Ladispoli è già cominciata.

(Fonte e Foto: Federica Sbrana).

 

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