Con il d.lgs. 29 settembre 2013, n. 121, in vigore dal 5 novembre 2013, “Disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 26 ottobre 2010, n. 204, concernente l’attuazione della direttiva 2008/51/CE, che modifica la direttiva 91/477/CEE relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi”, vengono peraltro apportate importanti modifiche all’art. 39 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, permettendo, in caso di necessità ed urgenza, agli ufficiali ed agli agenti di pubblica sicurezza, di procedere all’immediato ritiro cautelare di armi, munizioni e materie esplodenti regolarmente detenute e denunciate, nonchè della licenza di porto d’arma da fuoco o di fucile per le attività sportive di caccia o di tiro al volo. Rappresentando di fatto, una  sorta di sequestro atipico e ponendo a capo degli organi di polizia chiamati a valutare l’opportunità del ritiro, un’ampia discrezionalità decisionale.
Siamo davanti ad un’altra norma, almeno per quanto riguarda il caso in esame, relativa al citato art. 39 T.U.L.P.S., emanata senza dubbio sulla scia della superficialità e dell’emozione, dovuta anche e probabilmente ai tantissimi casi riconducibili a violenza in famiglia e non, cui ne sono conseguiti casi di omicidio. Il dibattito sulla detenzione delle armi è molto ampio, sia nel nostro paese che in altre nazioni, con leggi che regolamentano la materia in modi a volte molto diversi tra loro, per le quali ci vorrebbero pagine e pagine per poterli documentare. Ma  statistiche tedesche, avrebbero chiaramente provato, che solo il 5% dei delitti sarebbe commesso con armi legalmente detenute, ritenuta una percentuale verosimilmente irrisoria, rispetto alla grande mole dei reati commessi con l’utilizzo di altri strumenti e che dimostrerebbe l’inutilità di controllare le persone serie ed affidabili, se non alla scadenze prestabilite.
Di contro, numerosi dati statistici, riportano invece casi di violenza, come quelli commessi  tra le mura domestiche e/o di genere, o comunque connessi alle più svariate motivazioni, dai quali ne è derivata l’uccisione di persone, perpetrati sulla vittima per mezzo di vari oggetti: armi da punta e da taglio (semplici coltelli di uso domestico, forbici), martelli, asce, cacciaviti e punteruoli di vario genere, uso di oggetti contundenti, quali vasi e posa ceneri, somministrazione di medicinali, insomma tutto quello che può essere comunemente disponibile in casa e poi, con l’utilizzo di veleni e mediante strangolamenti, calci, pugni, violenza sessuale, ma anche utilizzando armi illegittimamente detenute e di illegale provenienza. E poi, ci sono i materiali altamente esplodenti ed infiammabili di libera vendita, come le bombole di gas GPL, carburanti, alcol, concimi chimici, (quest’ultimi come noto, opportunamente miscelati, possono trasformarsi in micidiali esplosivi), che non di rado sono stati utilizzati per vere e proprie stragi. Insomma, tanto per chiarezza, per eliminare durante il riposo un partener o ammazzare un eventuale antagonista a seguito di una banale lite al fine di contendersi un parcheggio auto, lo si può fare utilizzando un semplice oggetto da punta e/o taglio, coltello o cacciavite che sia. Studi hanno inoltre dimostrato, pur non essendo il sottoscritto favorevole alla caccia per ragioni personali ed ambientalistiche, che in Italia nonostante la presenza nel recente passato, di milioni di cacciatori ed altrettanti fucili in loro possesso, la loro correlazione e comunque connessione al crimine, è risultata assolutamente minima.
C’è poi da considerare la facilità per il delinquente, il vero criminale, di reperire ed approvvigionarsi di armi da sparo ed esplodenti con notevole facilità, specie in un paese come l’Italia, confinante con nazioni in cui la disponibilità illecita, dovuta anche alle vicende di un passato non così lontano, è sicuramente notevole e la presenza di apposite organizzazioni che con pochi denari e senza alcuno scrupolo, possono loro fornire ciò che vogliono, dal revolver al  fucile a pompa, al Kalašnikov, dalla granata al  bazooka, rendendoli sempre più forti innanzi ai cittadini perbene e che hanno la loro fedina penale, candida come quella di un bambino appena venuto alla luce e di qui che nasce anche un altro dibattito molto attuale, quello relativo alla difesa della proprietà privata da intrusioni di persone malavitose, che possiamo ritenere, una delle maggiori piaghe della nostra società della seconda post-modernità, che rendono insicure le famiglie, proprio nel luogo ove la serenità dovrebbe essere maggiore: la propria dimora! Fenomeno quest’ultimo, che in molti casi, vede le forze dell’ordine quasi impotenti e che comunque, nei pochissimi casi che le stesse riescono a mettere le mani su un “topo di appartamento”, quasi sempre questo risulta denunciato a piede libero, in attesa del giudizio che verrà, salvo direttissime per fragranza di reato, così che il giorno dopo, torna “normalmente al suo lavoro”.
Perché queste premesse? Torniamo alla norma in esame. Come detto, la disciplina entrata in vigore nel 2013, permette ad agenti ed ufficiali di pubblica sicurezza, di procedere al ritiro cautelativo d’urgenza delle armi legittimamente detenute, in assenza di qualsiasi reato da parte del soggetto detentore, consentendo in tal senso agli operatori di polizia, come già accennato, un’ ampia discrezionalità, i quali possono procedere in assenza di concrete circostanze, come invece sarebbe nel caso dell’accertamento di un reato, e che possono seguire anche a seguito di una semplice segnalazione per una normale lite in famiglia, dalla quale credo nessuno, ne sia indenne, come pure a seguito della presentazione al proprio datore di lavoro, (il quale si trova costretto a darne informazione agli organi competenti), di una certificazione medica riportante ad esempio, una diagnosi per una lieve forma  di stato ansioso – depressivo. Ma chi è indenne da certe cose? E, chi comunque anche dietro una mera semplicissima segnalazione, si prende la briga- responsabilità del non agire? I vari appartenenti alle forze dell’ordine e di polizia, le guardie giurate private, non hanno mai avuto un capogiro o un mal  di testa, o un momento no, in una società come quella attuale che ci fa vivere nell’incertezza quotidiana, che va da quella dell’ insicurezza urbana al terrorismo, da quella della salute, a quella della casa e a quella del posto di lavoro e molto altro? Oserei dire in proposito: “chi è senza peccato scagli la prima pietra”. E chi è in grado di prevedere il famoso raptus, che in tanti casi si scatena improvvisamente e senza sintomatologie o segnali ammonitori, in persone assolutamente insospettabili? Ma la disposizione in esame, consente ciò che abbiamo detto, costituendo di fatto a mio modesto parere, una palese violazione dei diritti del cittadino onesto e virtuoso, limitandolo anche nelle sue attività sportive e del suo tempo libero,  costringendolo nel caso incappi nella ferruginosa macchina, a disfarsi delle sue armi,  cedendole  ad altro soggetto legittimato, a fronte di un’eventuale futura acquisizione da parte delle autorità competenti, lasciando molto spesso impuniti quelli che sono i veri criminali e coloro che possono detenere e reperire armi illegalmente, come e quando vogliono.
Sembra ci sia molta confusione riguardo al corretto modo di come ricorrere al provvedimento di  ritiro d’urgenza cautelare di armi, munizione e licenze per la loro detenzione e porto, se non quella di proporre ricorso innanzi al TAR competente, con i tempi ed i costi facilmente immaginabili e come se nella vita di ogni giorno, non si avesse altro a cui pensare. C’è da dire che, a seguito di numerosi provvedimenti impugnati dai loro destinatari, le sentenze emesse dai tribunali amministrativi,  oltre che disporre la restituzione di ciò che è stato tolto al suo legittimo proprietario, hanno anche stabilito il risarcimento dei danni patiti a favore dello stesso. Per concludere, nel caso della presenza di un fatto reato, cosa totalmente differente dal semplice ritiro amministrativo cautelare in esame, l’indagato vedrebbe sottoposte a sequestro le proprie armi e titoli abilitativi al loro porto e detenzione, ma avrebbe la possibilità di ricorrere al P.M. titolare delle indagini, che qualora non darebbe una risposta esaudiente, gli consentirebbe l’ulteriore possibilità di ricorrere al tribunale del riesame. Come dire, una sorta di palese iniquità di trattamento, probabilmente molto più a favore dell’indagato di reato, che non del semplice cittadino onesto e rispettoso delle leggi.

Dr. Remo Fontana

 

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