(Seconda ed ultima Parte)

Il benessere di quegli anni, favoriva poi l’industria dell’automobile, relegata quasi esclusivamente alla produzione nazionale, come tanto per mero esempio, FIAT, Lancia, Alfa Romeo e Ferrari, ma anche quella di altri nuovi prodotti, come il frigorifero e la lavatrice, costruiti da marchi italiani come Indesit prima ed Ignis poi dal 1946, incrementando indubbiamente il nostro PIL dell’epoca.
In tutto questo movimento di nuovi prodotti e gli italiani che da poco più di un decennio, usciti dalla guerra e da un conseguente periodo di stenti e ristrettezze, con la voglia di nuovo e di rivivere una nuova vita, il commercio a dir poco decollava, ma con una legge, certamente poco adeguata, già dal primo momento della sua entrata in vigore.
Probabilmente, non si conformava molto allo spirito del già citato articolo 41 della Carta Costituzionale, ponendo di fatto dei limiti  alla privata libera iniziativa economica. Le licenze erano contingentate e quando il piano comunale risultava saturo, l’unica possibilità per dare inizio ad una nuova impresa, era quella di riuscirne ad acquistarne una da un commerciante che intendeva terminare la sua attività, magari anche per raggiunti limiti di età. Naturalmente tutto questo, avveniva a caro prezzo per il subentrante,   dovuto sia ad una subdola  forma di ricatto nei suoi confronti poiché impossibilitato ad ottenere una nuova licenza, ma anche in ragione del volume di affari che il negoziante cedente, dimostrava che l’attività potesse rendere, ottenendo così dal subentrante, una sorta di liquidazione.
Inoltre, altre difficoltà venivano poste dalla presenza delle tabelle merceologiche, allora individuate nel numero di quattordici, e dall’iscrizione al R.E.C., c.d. Registro Esercenti il Commercio, al quale si veniva iscritti dopo aver seguito uno specifico corso ed il successivo superamento di apposito esame. Altri limiti erano imposti dall’orario di apertura giornaliero delle attività, da quello della chiusura nei giorni domenicali e festivi, nonché da quello del riposo settimanale. Insomma, di fatto una norma sicuramente non adeguata ai tempi, in cui era necessaria una vera e propria liberalizzazione del commercio, in virtù dei principi basilari previsti dalla costituzione, sulla libera circolazione delle merci e di quella relativa alla libera iniziativa economica del privato.
La Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, arriva con il D.lvo 31 marzo 1998, n. 114, c.d. Decreto Bersani, che abroga contestualmente la precedente Legge 426/71. La nuova disciplina cancella inoltre le tabelle merceologiche, prevedendole ora nel solo numero di due, alimentare e non,  come pure il R.E.C. Il Decreto deroga poi alcuni particolari dettagli alla competenza delle regioni, che di conseguenza hanno emanato appositi regolamenti. L’apertura giornaliera ora non ha più limiti e nel rispetto dei contratti dei dipendenti, può praticamente essere protratta per tutto l’arco dell’intera giornata, sia nei giorni domenicali che in quelli festivi, nonché senza più l’obbligo per l’esercente, del rispetto del riposo settimanale.
Detto questo, torniamo al fenomeno in esame, relativo alle varie forme di commercio abusivo, che principalmente riguarda quello su aree pubbliche in forma itinerante.
Una prima manifestazione di abusivismo commerciale, ritengo la si ebbe subito dopo la caduta del Muro di Berlino risalente al 1989. Anche nelle nostre zone, per un breve periodo, ci fu una vera e propria ondata di cittadini Russi, soprattutto di origine ebraica, che approfittando della nuova situazione venutasi a creare nella vecchia Unione Sovietica, si trovavano in Italia di passaggio per migrare in altri paesi come gli U.S.A. Al tempo, ebbi modo di parlare con parecchi di essi, persone di medio/alta cultura, che peraltro usavano anche improvvisare per le vie del centro della nostra città, piccoli concerti di musica classica, con non più di 3 o 4 elementi. Erano tutti, o almeno quasi tutti, laureati professori di conservatorio, ingegneri, architetti, medici ed in possesso di altre specializzazioni. Oltre al ricavato dalle loro esibizioni spontanee, usavano sostenersi, vendendo nei mercati cittadini, anche con alcuni prodotti che avevano portato con loro dall’ex Unione Sovietica. Credo questa sia stata una delle prime forme di commercio abusivo, che interessò le nostre zone e che in un modo o l’altro, veniva forse parzialmente tollerata, magari semplicemente allontanando gli abusivi, sicuramente anche in considerazione della particolarità dei prodotti proposti in commercio, (matrioske, articoli per cucire, ecc.),  ma anche della momentanea situazione, che li vedeva solamente di passaggio nella nostra terra.
Subito dopo, generalmente per mano di alcuni senegalesi, seppur in forma ancora limitata, avevano inizio ulteriori episodi di commercio abusivo su aree pubbliche, ai quali, soprattutto le allora polizie municipali, ponevano contrasto mediante la contestazione di cospicue sanzioni amministrative ed il contestuale sequestro delle merci. Ulteriori fenomeni di abusivismo, vedevano venditori di fiori, prodotti agro-alimentari ed altri generi di merci, in genere di origine partenopea o comunque del sud Italia, sicuramente reclutati e ben organizzati, da particolari organizzazioni malavitose, dedite peraltro in alcuni casi, con buona certezza, anche al riciclaggio di denaro sporco, tutt’oggi ancora molto attivi sul nostro territorio.
All’epoca, come detto prima, poiché le licenze con la vecchia norma erano contingentate, risultava praticamente quasi impossibile incappare in un venditore abusivo che fosse munito di licenza.
Ma con l’avvento della nuova norma, il D.lvo 114/98, che ha visto una sostanziale liberalizzazione del commercio in generale, compreso quello su aree pubbliche, da parte dei comuni, vi è stato un conseguente,  notevole incremento del rilascio dei titoli abilitativi al commercio, regolarizzando di fatto grandissima parte dei “vecchi” senegalesi,  partenopei e del resto degli abusivi, ai quali, pure in relazione alla sempre più consistente mole d’immigrazione anche economica, che sta interessando l’Italia negli ultimi anni, si sono aggiunti cittadini di numerose altre nazionalità, di fatto, ora muniti quasi tutti, di regolare autorizzazione.
Se come detto poc’anzi, la stragrande maggioranza dei venditori sono ormai abilitati al commercio su aree pubbliche, qual’è allora il problema, o per meglio dire i problemi?
Sicuramente i problemi ce ne sono e forse molto di più di quanto si possa immaginare. Intanto il commercio su aree pubbliche al di fuori dei mercati, fiere e delle aree all’uopo destinate, deve essere effettuato in forma itinerante, con fermata a richiesta dell’acquirente e senza occupazione di suolo pubblico e non in contrasto con le norme del Codice della Strada, in pratica senza l’utilizzo di strutture fisse, quali tavoli, lenzuola ed altro per l’esposizione della merce e naturalmente, questa non dovrebbe risultare contraffatta, come accade invece nella maggior parte dei casi. Quindi, presentare la marcatura CEI  (Comitato elettrotecnico italiano), relativamente ai prodotti elettrici e quella inerente la Direttiva 2009/48/CE per quanto riguarda la sicurezza dei giocattoli. In questi casi, rimarco che si sta parlando di sicurezza, fattore questo certo non di secondaria importanza; il primo caso è quello relativo agli apparati elettrici ed elettronici e chiaramente la carenza di sicurezza, è da individuarsi nella possibilità di scariche elettriche e folgorazione per l’utente, incendio degli stessi apparati e strumenti, esplosioni di batterie ed altro. Nella seconda ipotesi, si sta parlando della sicurezza dei nostri bambini. Un giocattolo che non corrisponda agli standard previsti dalle norme, anche in ordine all’età del bambino che lo utilizzerà, può essere la causa di gravissimi danni alla sua persona, se non addirittura della sua morte, dovuta anche al soffocamento, a seguito dell’ingerimento di alcune parti del giocattolo o magari di sostanze velenose (colori e vernici), con cui lo stesso è stato realizzato e vietate nel nostro paese.
Un altro problema, certo anche questo non di secondaria importanza, è quello concernente l’etichettatura dei prodotti, specie di quelli agro-alimentari, per i quali, i venditori abusivi, non si fanno certo scrupoli sulla loro provenienza. Ortaggi, frutta, formaggi e suoi derivati, che potrebbero essere stati coltivati o prodotti da animali che hanno pascolato in zone vietate, come per esempio, la così detta “terra dei fuochi”, ove il terreno è particolarmente inquinato, tale da compromettere la salubrità dei suoi prodotti e derivati, oppure provenienti da paesi extracomunitari, nei quali vengono usati antiparassitari e prodotti fitosanitari, non consentiti nel nostro paese e dannosi per la salute del consumatore.
Poi c’è l’aspetto tributario. In Italia si sa, uno dei problemi più grandi per far quadrare il bilancio dello Stato è proprio quello relativo all’evasione ed elusione fiscale. E’ anche nel commercio abusivo, che s’individua uno dei casi da non sottovalutare, in cui l’evasione fiscale svolge una parte rilevante, dovuta alla mancata emissione dei relativi scontrini o delle ricevute fiscali.
Insomma, liberalizzazione dei titoli abilitativi, aumento dei venditori su aree pubbliche, che come detto in premessa, in determinati momenti dell’anno e località, invadono letteralmente le spiagge, costituendo di fatto una vera e propria barriera, anche con strutture semifisse, carretti, banchi ed altro, posti come un muro tra gli ombrelloni ed il mare, rendono le attività di contrasto, non certamente semplici da attuare: molto spesso, è molto più alto il numero degli abusivi da contrastare, che quello delle forze di polizia che si riesce ad impegnare e mettere in campo.
In linea generale, il controllo è demandato alle polizie locali, le quali anche a causa delle scarse risorse umane a disposizione ed anche in relazione  alle molteplici attività d’istituto, che le vedono ormai impiegate ed impegnate a 360°, che rendono di fatto quanto mai difficoltosa l’attività di contrasto, che peraltro in alcuni casi, viene espletata congiuntamente anche ad altri organi di polizia, soprattutto per la grande mole di venditori che ci si trova a dover giornalmente contrastare.
C’è da aggiungere inoltre, che molti venditori su aree pubbliche abusivi o comunque che contravvengono alle norme, nonostante siano sottoposti a sanzioni pecuniarie consistenti, anche reiterate nel tempo, rimangono insolventi per molte ragioni, non per ultima quella di risultare praticamente indigenti, poiché magari solo esecutori materiali della famosa ramificazione con cui ho aperto la mia disamina, mediante i quali le organizzazioni malavitose s’innervano sul territorio, vedendo il venditore come l’ultimo anello della filiera, nullatenente e nei confronti del quale, qualsiasi azione sanzionatoria, risulta praticamente nulla ed inficiata.
Per quanto riguarda invece l’accertamento della contraffazione di merci, si procede al sequestro penale delle stesse, con denuncia del soggetto che ha compiuto l’illecito all’Autorità giudiziaria, ma con le lungaggini del sistema e di quello processuale, ed anche con quelle relative all’onere della prova, che in questi casi, prevede che la perizia delle singole merci contraffatte, sia affidata allo perito dello specifico marchio falsificato.
Allora, che fare?
Intanto, credo che il maggior apporto, lo possano dare proprio i cittadini, già, i cittadini acquirenti!! Convincendosi, che acquistare da un venditore abusivo, o comunque di dubbia certezza, non fornisce alcuna garanzia, come quella prevista dalla legge in almeno due anni per la riparazione e/o sostituzione delle merci che risultassero difettose, o quella relativa alla conformità alle norme sulla sicurezza dell’oggetto acquistato, indicate dagli appositi marchi, ma anche quella inerente l’originalità della merce e del marchio, in molti casi, di qualità più che scadente e realizzata con materiali, che possono provocare particolari allergie. Convincendosi anche, che incrementando tali acquisti, si aiuta il proliferare dell’illegalità, compresa quella dell’evasione fiscale, a danno di tutti quei cittadini onesti e rispettosi delle norme e che pagano regolarmente le loro tasse, costretti proprio per questo, a pagarne anche per chi non ne paga.
In molti casi, altrettanti operatori di polizia, soprattutto locale, sono stati fatti oggetto di percosse da parte degli abusivi, questi ultimi risultati non di rado, anche irregolari con le norme del soggiorno in Italia, che riunitisi in gruppi consistenti, si sono letteralmente ribellati facendo resistenza alle attività di contrasto dei predetti organi di controllo, sostenuti a volte anche dalla popolazione, che difendeva gli abusivi, asserendo che questi non darebbero fastidio e non farebbero del male a nessuno.
Per concludere, in una nazione, nella quale esistono delle norme precise, anche se ingarbugliate in un ginepraio, tutti dovrebbero comunque rispettarle, compresi i cittadini acquirenti, che in questo caso, con il loro atteggiamento, contribuiscono a favorire l’illegalità: se nessuno acquista, il problema è risolto quasi alla fonte! Sarebbe inoltre necessario, controllare all’origine le merci con molta più frequenza. Nelle grandi città e non per ultima la nostra Capitale,  è ormai nota da tempo la presenza di particolari zone periferiche, ove insistono decine e decine di capannoni, a volte vetusti e fatiscenti, ove viene stipata all’inverosimile merce di dubbia provenienza, ammassata in altissime scaffalature, di altrettanto incerta sicurezza, come pure quella che riguarda gli spazi destinati al passaggio delle persone e dei lavoratori, che in taluni casi non sembrano per nulla presentare un minimo di sicurezza in ordine a quanto disposto dal  D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, avente ad oggetto, la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, ma probabilmente anche quella prevista dal D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151, concernente il Regolamento recante semplificazione della disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione degli incendi, a norma dell’articolo 49, comma 4-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

 

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