“Sono stato anche io alla marina nei giorno scorsi. Cibo spazzatura che appariva,  a tratti, vomitato. Su tutto una nuvola di fumo maleodorante che rilasciava nell’aria di tutto, tranne che un buon sapore di cucinato. Sono scappato via. Di lì a poco ho fatto un giro al ghetto e in via Montegrappa,  punti in cui giovani e meno giovani, di sabato sera, si attardano. Non c’era nessuno.

La marina calamita tutto, ma non in maniera virtuosa: sembra, più che altro, lo scarico di un water. Risucchia, con le sue attività che non possono dirsi culturali, né di intrattenimento, né di buona cucina, l’attenzione generale, per poi deluderla. Il resto di Civitavecchia, ivi comprese le attività commerciali del centro storico dedicate alla ristorazione e all’intrattenimento, languono. Via Montegrappa era vuota, così come era semideserto il ghetto. Per non parlare delle nostre periferie in cui aleggia un silenzio post atomico. La spasmodica attenzione per il cibo spazzatura e la marina è un mors trua, vita mea. Per far vivere la parte a valle di Viale Garibaldi, si uccide il resto della città. E’ come se un vampiro, invece di andare a caccia, si nutrisse del suo stesso sangue. Per quanto potrà andare avanti? Se il pubblico è sempre lo stesso e, verosimilmente, sempre più annoiato dal ripetersi della stessa offerta, la sua tendenza sarà quella di iniziare a disertare gli appuntamenti alla marina. Meglio restare a casa davanti alla TV.

Detto con estrema chiarezza: lo sviluppo del commercio deve reggersi sull’immissione di sempre nuovo pubblico. Dobbiamo dare a chi verrebbe da Tolfa, Allumiere, Santa Marinella, Ladispoli, Tarquinia, dei buoni motivi per arrivare fino a Civitavecchia e mettere mano al portafogli. I motivi non possono essere le bancarellle con le cover dei cellulari e un pezzo di carne bruciacchiata su di una griglia traballante il cui rapporto qualità/prezzo è increscioso, né un tagadà che d’estate si trova in ogni disastrato paesotto di mare.

E’ chiaro che latitano le idee, manca un piano di marketing e ci si guarda bene dal comunicare al di là della Scaglia. In questo c’è dell’ironia. Se le amministrazioni precedenti ragionavano nei termini del panem et circensem, l’attuale governo della città si è concentrato sul panem. Mangiare è tutto, la panza regna sovrana. La cultura? E mica si mangia …

Ma non voglio tediarvi spiegandovi che anche il cibo è una forma di cultura e che, magari, il rilancio turistico e commerciali della città potrebbe passare attraverso una politica di attenzione e promozione dei  nostri prodotti alimentari locali. Abbiamo anche gli storici che sono in grado di spiegare la nascita, le modificazioni e le contaminazioni culturali dei nostri alimenti. Abbiamo, in città, risorse umane che sono in grado di fare musica, spettacolo e teatro. Abbiamo splendide location, dalle terme taurine ai nostri parchi, sempre che qualcuno si decida non dico a riqualificarli, ma quantomeno a pulirli e a far sloggiare le pantegane. Abbiamo tutti gli strumenti per  dedicarci al panem senza disgustarci e senza procurarci la dissenteria e per fare circensem di altissima qualità. In pratica possiamo sviluppare il commercio e fare cultura: è nelle possibilità della nostra città.

Manca una guida. Manca un piano. Mancano le idee. Manca la volontà politica. E questo è un vero peccato”.

Lo ha comunicato Mario Michele Pascale.

 

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